
Caso Montesi – Ipotesi di un delitto
Roma – Wilma Montesi era una giovane ventunenne. Famiglia piccolo borghese residente nel quartiere popolare Trieste di Roma in via Tagliamento e prossima alle nozze con il fidanzato poliziotto. Nulla di strano nella vita di questa ragazza senonchè il 6 aprile 1953 scomparve. Il suo cadavere venne ritrovato l’11 aprile successivo sulla spiaggia di Torvajanica, località balneare romana.
Il ritrovamento – La posizione del corpo era supina. Il viso parzialmente immerso nell’acqua. Indossava solo parte dei vestiti. Nessuna traccia di scarpe, gonna e calze. Anche il reggicalze di raso nero non fu trovato. Un particolare importante poiché – ricorderà in seguito la madre della vittima – Wilma usava portarlo sempre e non lo avrebbe mai sfilato di propria volontà. Tuttavia l’autopsia sul cadavere non rilevò segni di violenza. L’imene risultò intatto.
L’inchiesta – Le indagini apparvero subito confuse. Di certo c’era poco. L’ultima persona che incrociò la ragazza viva fu la portinaia del palazzo in via Tagliamento, la quale dichiarò di aver visto uscire Wilma intorno alle 17. Successivamente altri testimoni sostennero di essersi imbattuti nella giovane sul treno Roma-Ostia. Gli inquirenti ipotizzarono il suicidio poi la sorella di Wilma, Wanda Montesi, ricordò che la ragazza le aveva domandato, giorni prima, di accompagnarla alla spiaggia di Ostia per un pediluvio a scopo curativo: Wilma soffriva a causa di un’infezione al tallone e la salsedine alleviava il dolore. Dunque, scartate le ipotesi di aggressione e suicidio, il questore di Roma, Saverio Polito, concluse l’inchiesta rendendo pubblici i risultati dell’Istituto di Medicina Legale capitolino: morte per “sincope dovuta a pediluvio”. Ovvero, la ragazza durante l’ammollo a Ostia si sarebbe sentita male a causa della sindrome pre-mestruale e sarebbe annegata. Poi la corrente marina avrebbe trascinato il corpo sul bagnoasciuga di Torvajanica.
Il caso – Comincia così il caso Montesi, uno dei più grossi scandali di cronaca nera che la storia delle Repubblica ricordi. Una vicenda a base di sesso, droga e corruzione che arrivò fino alle più alte cariche dello Stato e di cui i giornali si nutrirono per quasi un lustro. D’altronde la faccenda meritava tanto interesse. A partire dalla frettolosa archiviazione di Polito dopo la stiracchiata tesi del malore. Una versione che non persuase e fece del questore romano lo zimbello della stampa dell’epoca. La storia ci mise poco a tornare in auge. Già nel maggio del ‘53 le prime pagine dei giornali erano piene di allusioni a proposito del coinvolgimento di un volto noto nella morte di Wilma. Nessun nome solo “il biondino”, appellativo inventato dal quotidiano Il Paese Sera con cui si indicava un giovane che tempo prima si sarebbe presentato agli inquirenti con gli abiti della ragazza. Notizie inattendibili, finchè Marco Forza Cesarini, giornalista per il quotidiano filo-comunista Vie Nuove fece il botto dando un nome alla chioma bionda. Secondo Cesarini si trattava di Pietro Piccioni, musicista jazz, amante del bel mondo e dell’attrice Alida Valli. Ma soprattutto figlio del ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Attilio Piccioni, favorito di Alcide De Gasperi ed esponente di rango della Democrazia Cristiana all’epoca al Governo. [continua]
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