Brexit, adesso la UE si guardi allo specchio

Immagine in rappresentanza della Brexit (www.voglioviverecosi.com)

Immagine in rappresentanza della Brexit (www.voglioviverecosi.com)

Londra – Il popolo del Regno Unito in maggioranza risicata ha votato per l’uscita dall’Unione Europea. Il Paese dei Beatles se ne va e segue una tradizione di opposizione che ha caratterizzato i governi sin dall’ingresso nell’ ormai antica CEE, Comunità Economica Europea. Bisogna capire quali conclusioni devono trarne l’UE e i suoi ormai quasi 27 stati membri.

I FATTI E IL VOTO POPOLARE – I britannici hanno votato con il 51,9% a favore di un’uscita dall’UE che comunque non avverrà prima di due anni, come prevede l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Sulla scelta hanno influito l’età e l’educazione, come si vede dai dati, ma al netto di tutto c’è una maggioranza che ha votato no. Si tratta di uno dei pochi voti popolari in un club di 28 stati membri i cui governi si erano dimenticati per decenni che esiste un popolo che li tiene in piedi, quel popolo che senza dubbio, come Roberto Saviano ha detto nel suo commento post-Brexit, “scelse Mussolini e Hitler” ma che fu anche protagonista in altre epoche del Rinascimento o del referendum contro il nucleare. Quel popolo di cui gli intellettuali si riempiono la bocca quando serve alla loro causa e che è cattivo quando invece non è d’accordo con loro. Un popolo che si presta ai giochi dei governanti ma fino ad un certo punto.

Il Primo Ministro inglese uscente, David Cameron (contropiano.org)

Il Primo Ministro inglese uscente, David Cameron (contropiano.org)

IL REGNO UNITO DEL NO – La permanenza nell’UE ha permesso a Londra di attrarre capitali da tutto il mondo e di diventare la vera capitale finanziaria d’Europa, la quale ha dato tantissime opportunità di crescita a giovani provenienti da tutto il mondo. Nonostante l’economia britannica sia cresciuta negli ultimi anni, privatizzazioni e disuguaglianze sono aumentate e l’economia finanziaria e immobiliare londinese ha cancellato dalla mente di Cameron, le politiche per favorire i distretti produttivi industriali, il turismo, la pesca, insomma l’economia reale alla pari di misure d’integrazione. Non è un caso che Sadiq Khan sia il nuovo sindaco di Londra e Jeremy Corbyn sia a capo dei laburisti britannici. Considerando anche il fatto che in Inghilterra si parla in parlamento e fuori di riformare il sistema monetario come in pochi altri stati UE, si ha l’impressione che il no britannico sia più verso il modello economico attuale più che contro l’idea di un’ Europa unita.

L’UNIONE EUROPEA SI SCOPRE DEBOLE E IMPOPOLARE – Guardiamo ai referendum che hanno parlato dell’UE negli ultimi anni. Nel 2005 il popolo francese e quello olandese hanno bocciato la futura Costituzione Europea; così nel 2009 i capi di stato e di governo ci hanno messo una pezza, approvando la via di mezzo del Trattato di Lisbona e rigettando la parola costituzione. Ben peggio ha fatto il governo greco l’anno passato, negando una chiara volontà popolare di non sottostare alle imposizioni della Troika, i cui 2/3 sono istituzione europee; sarebbe interessante capire come Alexis Tsipras ha spiegato in questi giorni ai greci che il voto del popolo in Gran Bretagna va rispettato e il loro non contava nulla. In ogni caso il messaggio è chiaro: bisogna cambiare e risolvere davvero i problemi della gente.

GLI EFFETTI SULLE CANCELLERIE EUROPEE – Non si sa con quanta consapevolezza sia successo, ma probabilmente il voto del 23 giugno 2016 sarà ricordato come il maggior contributo britannico all’Unione dalla sua esistenza. A Bruxelles comprenderanno finalmente l’esigenza di un cambio di rotta, così come questo messaggio forte e chiaro è già arrivato a Parigi, a Roma e soprattutto a Berlino, il quale governo blocca ogni possibilità di cambiamento. Due problemi dovranno essere affrontati: l’assenza di processi pienamente democratici nell’UE, soprattutto nella zona euro e la drammatica situazione economica ormai dell’intero continente che in alcune aree è in stagnazione ed in altre cresce allo stesso ritmo delle proprie disuguaglianze interne.

L’ENIGMA ECONOMICO DI UN CONTINENTE – Il buon Seneca diceva che non c’è vento in poppa per una barca senza rotta. L’Unione Europea oggi naviga a vista e senza rotta precisa da percorrere. L’Unione ha abbandonato ipotesi federaliste, anche per la continua ostilità britannica, e ormai dall’Europa dei piccoli passi si è passato all’Europa dei passi falsi. Il famoso popolo questo lo vede e lo tocca con mano al contrario dei governanti europei e nazionali. Nel corso degli anni l’Unione ha sviluppato il concetto di sussidiarietà, ha creato l’Erasmus, strumento con il quale i giovani europei hanno compreso ed apprezzato differenze e somiglianze, ha sviluppato politiche ambientali d’avanguardia, ha permesso una mobilità totale ai suoi cittadini e poi ad un certo punto si è resa conto delle difficoltà nello sviluppo del primo concetto, ha provato senza successo a rimangiarsi l’Erasmus e con il TTIP ed altre politiche di cooperazione ha dato la sensazione di non tenere più di tanto a quell’ agricoltura e pesca tanto sostenute nei decenni precedenti. Per ciò che riguarda la mobilità infine, Schengen è stato messo a dura prova dall’incapacità totale dei capi di stato e di governo di trovare una soluzione comune alla questione immigrazione.

Euro (www.angstkrisedesign.de)

Euro (www.angstkrisedesign.de)

UNA MONETA UNICA INEFFICACE – Nel frattempo alla Commissione stanno provando ad agire come un governo vero ma senza che ci sia stato alcun cambiamento di legittimità popolare nei loro confronti: i nomi dei commissari rimangono espressione dei governi nazionali. L’euro e gli inflessibili accordi di Maastricht hanno poi fatto il resto, mantenendo una moneta difficilmente controllabile dalla BCE e ampliando le disuguaglianze tra le regioni europee. L’euro, se vuole realmente essere il motore dello sviluppo dell’UE, può trasformarsi in moneta comune e non unica dando spazio a quelle monete locali che si stanno sviluppando dal basso, nelle regioni e città di Regno Unito, Spagna, Francia, Germania, Italia e via dicendo. L’idea circola da alcuni anni, tanto che in Francia vi è una legge dal 2014 che regola l’emissione di monete locali da enti non-profit. In questo senso, per Roma il nuovo sindaco Virginia Raggi si è espressa a favore di questo strumento, provocando l’ilarità di politici, economisti e giornalisti che ignorano la realtà europea. Solo in questo modo, dando vera liquidità all’economia reale per valorizzare le risorse locali e l’economia sociale, può essere possibile per esempio uscire da situazioni italiane o spagnole imbarazzanti per la storia dei rispettivi Paesi e creare davvero l’Europa delle regioni tanto promessa, ovviamente stati permettendo.

POLITICA INCAPACE - Questi ultimi vivono una piena crisi data dall’incapacità delle proprie classi politiche di gestire i problemi che hanno di fronte; esempio dell’incertezza che regna sovrana sono le ultime elezioni spagnole che non hanno espresso nessuna chiara maggioranza per la seconda volta. Fino ad oggi le scappatoie alla disoccupazione per i giovani del sud Europa sono state rappresentate dalla Germania e soprattutto dal Regno Unito, creando una situazione poco sostenibile per il continente. Ora uno dei due stati di accoglienza è fuori gioco.

Parlamento Europeo, sede di Strasburgo (reportingtheeu2011.mediajungle.dk)

Parlamento Europeo, sede di Strasburgo (reportingtheeu2011.mediajungle.dk)

SCENARI FUTURI – Per ciò che riguarda il Regno Unito, avrà presto un nuovo governo, probabilmente laburista. Il nuovo Premier avrà da rinegoziare centinaia di rapporti commerciali con l’estero e placare la rinnovata furia indipendentista, forse non solo scozzese. A Edimburgo c’è fermento vista la netta maggioranza espressa dagli scozzesi in favore del “Remain”. Nell’UE invece, i contentini non possono piacere a popoli che vogliono generalmente contare nelle decisioni, non basta la fine del roaming telefonico o i voli Ryanair a fare accettare la mancanza di un posto di lavoro degno, un TTIP che rimane segreto nei contenuti o la corruzione diffusa nei vari stati nazionali. Lo scenario futuro dipenderà molto da come le istituzioni europee reagiranno e se i capi di stato comprenderanno, anche se in ritardo, il messaggio della Brexit story: bisogna iniziare ad affrontare problemi reali e lavorare per la gente di tutti e 27 stati membri, non per multinazionali finanziarie che con la loro ingordigia stanno portato alla fine concreta dell’Unione Europea, o la vera Europa politica, che dovrebbe essere una splendida casa comune per tutti i suoi cittadini e non una prigione da cui fuggire.

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