
Assenteismo, quando può scattare il licenziamento
L’assenteismo è quella pratica, purtroppo piuttosto diffusa sia tra i lavoratori pubblici sia tra quelli privati, per cui il dipendente si assente dal luogo di lavoro senza un valido motivo. Poiché si tratta di un comportamento sleale nei confronti dell’azienda, non di rado quest’ultima sanziona il lavoratore procedendo al licenziamento.
In cosa consiste l’assenteismo
Il lavoratore può assentarsi dal luogo di lavoro in presenza di un valido motivo. Il Codice Civile stabilisce, inoltre, che al prestatore di lavoro sia riconosciuta la retribuzione oppure un’indennità. La legge, però, stabilisce anche dei limiti alle possibilità da parte del dipendente di assentarsi da lavoro; il termine, in tal senso, è il cosiddetto periodo di ‘comporto‘.
Si tratta del periodo di tempo durante il quale il lavoratore può assentarsi – in maniera giustificata – conservando la propria posizione lavorativa. Il comporto può essere ‘a secco‘ (quando i giorni di assenza si accumulano in maniera continuativa) oppure per sommatoria (ossia il termine viene superato sommando giorni di assenza maturati in maniera discontinua). Quando un dipendente supera, anche di un solo giorno, il periodo di comporto, il datore di lavoro può procedere al licenziamento.
Non sempre, però, il comporto è l’unico parametro necessario ad innescare un licenziamento per assenteismo. Qualora un comportamento assenteista costituisca un valido motivo, il datore di lavoro può interrompere il rapporto con il dipendente. Di contro, se le assenze sono motivate da una ragione valida -certificata in maniera insindacabile – il provvedimento di licenziamento attuato senza il superamento del comporto è illegittimo.
Quando scatta il licenziamento per assenteismo
In linea di principio, è nell’interesse del datore di lavoro comprovare l’esistenza di una condotta assenteista da parte di uno o più dipendenti. Per fare questo, in genere, si può dare mandato ad un’agenzia di investigazioni private - come ad esempio Inside Agency – per svolgere delle indagini di controllo e raccogliere prove che potranno essere utilizzate anche nel corso di un eventuale processo.
Una volta dimostrato che le assenze non sono giustificate, il datore di lavoro può impugnare le prove raccolte per certificare la legittimità dell’interruzione del contratto con il proprio dipendente. Ovviamente, se quest’ultimo ritiene di aver subito un’ingiustizia, farà ricorso avverso alla decisione e spetterà al giudice confermare o revocare il licenziamento.
Spesso il recesso di un contratto di lavoro si fonda, da parte del datore di lavoro, sui motivi che stanno alla base delle assenze. Non di rado hanno un carattere ‘strategico’ se, ad esempio, cadono sempre durante i fine settimana od in corrispondenza dei turni di lavoro di pesanti; altre volte, invece, le assenze sono giustificate da uno stato di malattia o da un infortunio solo apparenti. Un altro strumento nelle mani del dipendente assenteista sono i permessi retribuiti ottenibili grazie alla Legge 104 per assistere un familiare o un convivente.
In ognuno di questi casi, seppur ciascuno con le proprie specificità, si configura una mancanza da parte del dipendente, tale da poter essere punita finanche con il licenziamento. Il Codice Civile, infatti, stabilisce quali siano gli obblighi del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro, ovvero correttezza e buona fede.
Le modalità in cui può concretizzarsi una condotta punibile sono svariate; nel caso in cui un dipendente sia per davvero alle prese con una malattia o un infortunio, egli può essere sanzionabile anche se svolge attività non congruenti alla propria condizione di malato o infortunato oppure se mette in atto pratiche che pregiudicano o ritardano la guarigione.
Parimenti, se il beneficiario di un permesso della Legge 104 non spende le ore di cui usufruisce per accudire un familiare o un convivente in maniera consona, il licenziamento può essere legittimo. L’assenteismo è piuttosto diffuso anche all’interno della pubblica amministrazione, con la Legge Madia anche la falsa attestazione di presenza è stata inserita – assieme allo scarso rendimento – tra i validi motivi di licenziamento.
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