
Videocracy, basta apparire? O BASTA apparire!
Da “Spogliamoci Insieme”, primo sexy quiz della televisione italiana, alla ministra showgirl Carfagna. Cosa succede nell’opinione pubblica plasmata dal piccolo schermo?
di Paola Zaffarana
“Io adoro essere una persona anonima, non mi dà niente essere conosciuto, anzi spero di venire dimenticato al più presto!” – Non potevano essere altre le parole di Erik Gandini, documentarista italiano trapiantato in Svezia che vanta una carriera di documentari scomodi come Videocracy , uscito a Venezia e censurato in Rai e Mediaset che non hanno accettato la messa in onda del trailer.
Videocracy è un documentario che mostra lo stato delle cose in Italia, è un film che parla del potere dell’immagine televisiva e come quest’ultima abbia cambiato i sogni e le speranze di un’intera nazione. Chi ha visto il film saprà già di cosa parliamo e capirà perfettamente che la pellicola non è un film su o contro Berlusconi, bensì sull’Italia che è stata da lui irrimediabilmente trasformata nel giro di quasi un trentennio.
Videocracy non riesce a far parlare in modo ordinato i contenuti del film, perché è composto da un caos riuscitissimo di spezzoni televisivi, nazionali, regionali e indefiniti pezzi di un backstage dell’Italia dello spettacolo che non riuscirà mai a piacerci.
Ne viene fuori l’Italia che voleva Berlusconi, l’Italia dei suoi amici Mora, Corona, Briatore, Ventura, reduci di grandi fratelli e tronisti vari spiaggiati in ville della Costa Smeralda che la gente anonima non vede l’ora di incontrare e, se ci scappa anche una foto, molto meglio.
Non che non si sapesse già, ma guardando Videocracy è come se tutto, tutto ciò di cui siamo fermamente convinti si materializzasse con divertente cattiveria e scorresse sotto i nostri occhi convincendoci che non si può tornare indietro. Troppe le cose nel film, cose da far ridere, da far piangere, ma soprattutto da far imbarazzare: e badate che non si parla del nudo integrale di Corona che si spalma la crema anche sui genitali o della signora cinquantenne che si denuda a un provino per Mediaset restando in collant ed esibendo forme di un corpo sgraziato e inguardabile.
Parliamo di un altro tipo di imbarazzo, quello di fronte a Fabrizio Corona, al suo autodefinirsi “Robin Hood che ruba ai ricchi e tiene i soldi per sé”, quello di fronte a un Lele Mora vestito di bianco che fa ascoltare Faccetta Nera che tiene come suoneria del suo cellulare, quello di fronte allo spot musicale “Menomale che Silvio C’è”.
Un paese accecato dal sogno della gloria e della fama, soprattutto quando viene fuori Ricky, un bravo ragazzo bergamasco che, con gli occhi accecati da un’ingenuità senza tempo, sogna di diventare un uomo di spettacolo mostrando le sue doti di cantante “alla Ricky Martin” e karateka “alla Jean-Claude Van Damme”, ma che nel frattempo lavora in fabbrica per campare. E’ Ricky il vero protagonista del documentario, il prodotto perfetto dell’Italia dell’immagine, dei provini, del successo a ogni costo, della visibilità, del BASTA APPARIRE, qualunque cosa si faccia, anche niente!
Se potessi scegliere tornerei a ieri sera e non guarderei questo film, anche per non riguardare la tristezza negli occhi di Ricky mentre fa il figurante in un programma sperando di farsi notare da qualcuno. Non so bene perché, e non vorrei esagerare, ma stamattina mi sento diversa, forse un po’ più consapevole che ciò che è fatto è fatto, che siamo arrivati a credere che non si può tornare indietro e che l’immagine ha preso il posto della parola, dell’azione.
Questa è una verità indiscutibile che ci farà reagire ognuno a modo nostro ma che di fondo ci strazia, ci incazza e ci frustra.
Tutto questo non riguarda solo l’italia, ma le società (x lo + occidentali) dove regnano le moderne condizioni di produzione. Il culto dell’immagine non è cosa degli ultimi 30 anni: le ideologie fornivano immagini e modelli di comportamento ieri, oggi invece esse non ci sono più, ma c’è il consumismo che adotta gli stessi metodi tirannici, e trasforma ogni pensiero, ogni idea in immagine,cioè in merce scambiabile e consumabile. Cosi oggi le riviste lanciano locali, la politica è fatta da imprenditori dello spettacolo, la finta battaglia sulle diversità di ogni specie acquisisce senso non in quanto tale, ma come propaganda del “giusto commerciabile”. Non ho visto videocracy, lo farò. ma per me le accuse sono da lanciare indietro, alle società del passato dalle cui rovine si origina quella attuale. Facile parlare di mora, berlusconi e quell’altro marchettaro di corona. sono solo le nuove foglie di una secolare sequoia marcia dall’interno.
ps: non per provocare gratuitamente, però se si definisce l’immagine della signora del provino inguardabile e sgraziata, si potrebbe dare adito al critico di sottolineare un’aderenza al sistema dell’immagine e del culto visivo, da parte di chi scrive. Non è vero?