
VIDEO Il ricordo di Manfredi Borsellino e la sconfitta dell’Antimafia

L’abbraccio tra Manfredi Borsellino e il presidente Mattarella
Palermo – Sono lacrime che hanno toccato e commosso tutti, quelle di Manfredi Borsellino, e che hanno accomunato tutti gli italiani nella giornata del 19 luglio 1992, quando appresero cosa era successo in via D’Amelio, la strada famigliare e accogliente dove trovarono la morte Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
LA COMMOZIONE DI MANFREDI BORSELLINO - Manfredi Borsellino, durante la giornata di commemorazione della strage di via D’Amelio in corso al Palazzo di giustizia di Palermo, ricorda quella giornata, ricorda la casa della nonna e, soprattutto, ricorda suo papà, strappato alla famiglia nel modo più vigliacco che possa esistere. Nel parlare di Paolo Borsellino, eroe della società italiana, Manfredi non riesce a trattenere la commozione, dettata dal quel sentimento ampliato dall’amore che un figlio prova per il proprio genitore. Una presenza che continua ad essere forte per la Sicilia e per l’Italia, ancora messa a dura prova dalla criminalità organizzata e che sente il bisogno di personalità coraggiose come quelle di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uomini in lotta continua contro il malessere e la crudeltà sociale.
GIUSTIZIA, NON SOLO RICORDO - “Non dimenticare” sono le parole che costantemente si sentono in queste grandi manifestazioni che ricordano persone che hanno speso le loro giornate e i loro anni per contrastare la mafia e la criminalità ma, molte volte e soprattutto tra le file delle istituzioni, queste parole risultano essere ridondanti e coperte da un grosso velo di ipocrisia. A ventidue anni dalla strage di via D’Amelio continuare a parlare di ricordo non basta più, soprattutto quando di fronte ad un evento così tragico per l’intero sistema sociale ancora mancano tasselli importanti per stabilire quali fossero i reali rapporti tra lo Stato e la mafia. Fare «luce su quanto è accaduto in via D’Amelio – affermava Lucia Borsellino, nella commemorazione dello scorso anno – Non lo dico da figlia ma da cittadina, perché è un diritto e un dovere di tutti collaborare. Soprattutto per le nuove generazioni, sono mamma di due bambini che conoscono solo una parte della storia ma vorrei che conoscessero anche l’altra parte, quella che fa più male», parole che ad un anno di distanza continuano a mostrarsi gravemente attuali.
IL CASO CROCETTA – Parole ancor più forti perché pronunciate in giornate difficili per Lucia Borsellino che, sostiene il fratello, sta attraversando «un calvario simile a quello attraversato dal padre nella stessa terra». Chiaro il riferimento di Manfredi Borsellino ai recenti fatti di cronaca che hanno visto come protagonisti il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta e il suo medico di fiducia Matteo Tutino, arrestato dai Nas in data 29 giugno e accusato di aver pronunciato la scandalosa frase «va fermata, fatta fuori. Come suo padre». La veridicità, anche in questo caso, manca ma, a prescindere dalla pronuncia o meno di quella infame affermazione, la vicenda testimonia una ulteriore sconfitta governativa, incapace ancora una volta di svoltare e lottare per un vero cambiamento.
L’ANTIMAFIA DEBOLE - Il fronte antimafia, che aveva come modello le gesta di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sembra non essere in grado di portare avanti la lotta dei due magistrati uccisi dalla mafia e la Sicilia sembra essere sempre più dimenticata dallo Stato e in preda di personaggi ambigui e poco affidabili.
Il problema risulta essere, ancora una volta, di matrice sociale poiché poco continua a farsi per radicare una maggiore cultura antimafia nel territorio, dilaniato da un percepibile rassegnazione maturata dall’incompetenza e l’insicurezza istituzionale. Mentre si celebrano e si ricordano i grandi eroi, continuano a mancare investimenti concreti in educazione, aggregazione e associazione e, nonostante il grande lavoro per cercare di contrastare l’impatto della criminalità nel settore degli appalti pubblici, le risorse a disposizione vengono talvolta mal investiti, per colpa di disorganizzazione e diversità di vedute.
Sarebbe superficiale affermare che una maggiore educazione all’antimafia possa, da sola, sconfiggere la criminalità organizzata radicata ma è fuori discussione che una vicinanza delle istituzioni alla realtà sociale, ai giovani associati che lavora fisicamente e culturalmente la terra, possa aiutare concretamente vecchie e nuove generazioni, afflitte dalla paura di essere soli.
«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà» diceva Peppino Impastato, ucciso dalla mafia.
Alessia Telesca
foto: livesicilia.it; mondopalermo.it