
VIDEO – Grillo diserta la piazza. E’ rischioso maneggiare l’antiberluconismo
Roma – La piazza furiosa non dovrebbe preoccupare solo Beppe Grillo che pur la raduna, salvo poi disertarla. Dovrebbe essere il cruccio anche di chi la sottovaluta nel mentre che le istituzioni si sono ripiegate su se stesse, prendendosi a cazzotti per decidere quale ottantenne della vecchia scuola di sinistra – Marini, Prodi, Rodotà, Napolitano – dovesse sedere al Quirinale. Invece questo non succede. Al contrario ci si dimena in dibattiti su chi può dirsi vincitore delle macerie della nazione. Allora iniziamo dai perdenti.
Il Pd è esploso, il che era fatto ipotizzato ma disgraziato. Politicamente e socialmente. Nel primo caso è la dichiarazione ufficiale che non esiste più amministrazione della Repubblica, perciò non può esistere più opposizione di qualsivoglia tipo. Dispiace per Grillo il quale, ieri, in conferenza stampa dalla Città dell’Alta Economia, quartiere Testaccio di Roma, ha archiviato la sua grande rivoluzione iniziata con il tentativo di fagocitare il Pd e conclusasi con il topolino partorito dalla montagna: «Ci metteremo all’opposizione e voteremo le cose giuste, se sono nel nostro programma». Tanti auguri.
Socialmente perché essendo la sinistra fulcro di tante, troppe anime che si sono cecchinate dagli spalti di Montecitorio per l’elezione del Capo dello Stato, esse hanno lasciato in eredità un popolo di altrettanto variegato spessore, nutrito per due decadi a pane e antiberlusconismo. Questo finché il pane c’era. Ora che scarseggia insieme al lavoro, è rimasto solo l’antiberlusconismo più intransigente, quello coltivato assicurando l’elettore duro e puro che l’avversario è il nemico, l’impresentabile, il delegittimato a prescindere. Così la resa dell’ex segretario Pd, Pier Luigi Bersani è la resa di una linea non politica, dopo la quale tornare a fare politica è stato impossibile. E siccome senza strategia nei palazzi non si sopravvive, quel che rimane è una folla di anti-Cav. rabbiosa e senza guida.
D’altronde il tutto lo si è visto due giorni fa nella piazza antistante a Montecitorio quando per ore si sono radunati sostenitori grillini inneggianti Rodotà, ai quali si sono aggiunti i centri sociali di estrema sinistra e destra, ai quali si sono aggregati i No Tav. Tutti insieme ad aspettare un comico che lancia appelli di adunanza via Twitter e urla al golpe o ‹‹golpettino furbo›› (verso chi poi? Verso se stesso?) per la rielezione di Giorgio Napolitano, epperò poi non si fa vivo. In compenso il raduno si sparpaglia per Roma, aggredisce verbalmente i presidenti di Camera e Senato in viaggio per notificare a Napolitano il suo bis, insulta il piddino Dario Franceschini al ristorante, tenta di marciare verso il Quirinale e pazienza se le manifestazioni davanti il Colle sono vietate, impedisce ai tanti inviati di agenzia di lavorare. Per carità, non che la colpa sia di Grillo. Al massimo gli si potrebbe imputare di aver peccato di ingenuità. Due volte: la prima per aver esacerbato animi già agitati, la seconda nel voler raccogliere l’eredità antiberlusconiana credendo di poterla gestire con miglior abilità di coloro che sotto il suo peso si sono annientati. Trattasi di bomba a mano innescata nelle mani di chi la maneggia. Chiedere al centrosinistra per informazioni.
Spiega ancora Grillo dal Testaccio: «Ieri sera potevo venire in piazza, ma avevo paura che la mia presenza potesse favorire la violenza». Corretto, solo che il concetto andrebbe meglio esposto: quello che ha tenuto lontano il leader M5s non era il timore che la sua presenza generasse violenza ma che la sua presenza potesse essere associata alla stessa. Il che è diverso mediaticamente ma non sostanzialmente giacché si ammette che la piazza è organismo incontrollabile anche da chi la conosce perché la vive. E questo ieri si è replicato nello spazio dei Santissimi Apostoli: piazza gremita, clima teso, organizzazione pessima, niente palco, polemiche accese contro i giornalisti. Il comico ha salutato: «Arrendetevi». Poi si è dileguato. Di nuovo tanti auguri.
E si arriva al presunto vincitore: Silvio Berlusconi. Vincitore di che ancora è da capire: che ad essere esploso sia il Pd invece che ad implodere il Pdl? Di poter mettere in piedi un Governo con un partito frantumato e che in buona parte lo odia personalmente? Non è chiaro. Infatti Berlusconi non gioisce ma tutti insieme dovrebbero tenere a mente un paio di cose: a) quella delle larghe intese è l’ultima occasione per Pd e Pdl di restituirsi credibilità; b) il primo che ricomincia con i veti ai danni dell’altro rilancia la corsa di Grillo che degli scontenti della piazza non è risposta ma espressione. Perciò, se la massa non la si vuol ascoltare, almeno la si osservi: meno è folta, più si è sulla buona strada.
Chantal Cresta
Foto || Tgcom24.it; giornalettismo.com