The Grandmaster, il manierismo di Kar-wai – Recensione

Locandina del film

Locandina del film

Figlio di una gestazione lunghissima, la cui idea sorse addirittura nel lontano 1996 durante un viaggio in Argentina, The Grandmaster è la nuova opera filmica del cineasta cinese Wong Kar-wai. Dopo la poesia di In the Mood for Love, 2046 e Un bacio romantico, il regista, prestato all’industria cinematografica di Hong Kong, torna con un film wuxiapian (o, più semplicemente, wuxia) sulla figura di Ip Man, leggendario maestro di Bruce Lee, non limitandosi, però, solo a citarne gli aspetti più importanti, ma tentando di offrire un vero e proprio affresco della storia cinese attraverso le sue vicissitudini personali.

Ip Man, nato a Foshan, nel sud della Cina, in una famiglia benestante, frequenta il Padiglione d’Oro, un elegante bordello dove si incontrano i maestri di kung fu della città, e dove anche le donne possono custodire i segreti delle arti marziali. Nel 1936 la Cina è alle prese con alcune turbolenze politiche e con la minaccia della divisione: i giapponesi hanno invaso le provincie del nord-est e costretto gli abitanti a lasciare la Manciuria occupata. Nel frattempo, a Foshan arriva il Gran Maestro delle arti marziali per festeggiare il suo imminente ritiro. La cerimonia prevede una sfida e una sua esibizione di arti marziali con un uomo più giovane. Per assistere alla cerimonia arriverà nella città anche la figlia del vecchio maestro, Gong Er, unica erede della “tecnica delle 64 mani”. Nel frattempo, l’occupazione giapponese del nord-est prepara il terreno per un tradimento che sconvolgerà il mondo del maestro Gong, e costringerà sua figlia Gong Er a prendere una decisione che cambierà il corso della sua vita. Dopo che i giapponesi hanno invaso Foshan, Ip Man vive anni duri, senza mai lasciarsi piegare dalle avversità, e apre una scuola di Wing Chun a Hong Kong, conquistando ben presto molti discepoli devoti, tra cui Bruce Lee.

Tony Leng (Ip Man) in una scena del film

Tony Leng (Ip Man) in una scena del film

Monolitico nel suo impianto stilistico, The Grandmaster non riesce purtroppo a tenere vivo l’interesse dello spettatore per tutta la sua durata. Kar-wai dissipa tutte le sue energie in una messa in scena magniloquente, a tratti mirabile, che però si limita ad essere una cartolina esotica e priva di profondità. La Cina, infondo, è sì lontanissima, ma, al tempo stesso, è ormai vicina. In patria il wuxiapian è un genere tradizionale, e gli adattamenti cinematogafici delle biografie di Ip Man non mancano; nel cinema internazionale, invece, le commistioni tra Occidente e Sol Levante non sono certo una novità. Sorgono quindi spontanee le perplessità sulla reale portata di un film così costoso e impegnativo, ma altresì vuoto contenitore di immagini e suoni.

Opera di maniera, quindi, The Grandmaster, un film che cerca invano mi mischiare storie personali e vicende storiche ma che dimentica tutta la poesia di una arte marziale, quella del kung-fu, che rimane del tutto conchiusa tra sentimenti di vendetta ed avvenimenti storici. Gli anni spesi nella realizzazione di questo film danno la sensazione di aver sottratto, più che apportato, benefici al lavoro di Wong Kar-wai, che con la sua ultima opera filmica ci offre grandi immagini ma, al contempo, ci nega poesia e sentimenti.

(Foto: indieye.it)

Emanuel Carlo Micali

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