S&P declassa l’Ue ma la meno affidabile rimane la Germania

Angela-Merkel

Il Cancelliere Angela Merkel

Roma – All’indomani del declassamento di 9 Paesi europei da parte dell’agenzia di rating Standard&Poor’s (S&P), la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha rilasciato la seguente dichiarazione radiofonica all’emittente Deutschlandfunk. Dice Frau Merkel: le riforme adottate da Spagna e Italia ‹‹convinceranno i mercati a medio termine››.
L’accaduto. Ieri la rating ha ufficializzato il downgrading di Cipro, Malta, Spagna Portogallo, Francia, Austria, Slovacchia, Slovenia e, naturalmente, Italia. Ovviamente la bastonata più grave è quella data al livello di affidibilità del nostrano debito sovrano, che malgrado la super manovra tassa-tutto del sobrio premier Mario Monti, passa da A a Bbb+. Con il nostro quello francese, che perde la tripla A e si assesta su un più modesto Aa+. Esclusi in area euro: Germania con outlook stabile; Lussemburgo, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio, Estonia, Irlanda con outlook negativo.
Ora, si potrebbe disquisire sul valore dei giudizi delle agenzie, nate con lo scopo di orientare l’investitore e fuorviate poi in strumento di speculazione. Tanto più per ciò che riguarda S&P, accasata con l’editrice McGrawHill e proprietaria di Platts, società che calcola il prezzo del petrolio. Il colosso, nel 2010, ha fatturato 1,3 miliardi di euro con interventi finanziari ad hoc. Il conflitto di interessi è palese. Ma attenzione: la polemica è stucchevole.
Che piaccia o meno il mercato di rating vive e con esse si deve confrontare fintantoché il sistema lo esige. Val molto più la pena contestualizzare il giudizio che, per quanto discutibile, sempre sulla concretezza del dato economico si basa e, nello specifico, il dato fa rima con le parole Germania e “credibilità”.
L’euro – Se a qualcuno fosse sfuggito, la moneta unica ormai è il marco. Il fatto che la Germania sia rimasta l’unico paese con tripla A e outlook positivo non lascia dubbi sulla nazionalizzazione dell’Europa in salsa teutonica. Tutta roba che può gradire Frau Markel ma che fa a cazzotti con i principi di comunione e solidarietà sui quali l’Unione è nata e si è piazzata in Borsa finché non ha deciso di deragliare con il nuovo Trattato dello scorso mese.
Unione fiscale – Pretendere che tutta l’area euro organizzi il proprio assetto fiscale su volontà del germanico pensiero non è solo miope, è anche pericoloso perché i Membri sono diversi per struttura, sistema fiscale interno, tenuta dei conti. L’omologazione significa rigore estremo, una medicina che ai mercati non piace, non convince, non soddisfa l’urgenza di crescita né invoglia ad investire su chi, è scontato, non ha speranze di farcela. Per capirci: il Fiscal Compact a cui Monti ha detto frettolosamente sì e che, di contro, ha fatto scappare l’Inghilterra prevede la riduzione di un 20esimo del debito l’anno per i paesi che superano il 60% del rapporto con il Pil. L’Italia annega in un rapporto del 120%. Tradotto significa che per rispettare il patto ci si dovrà sobbarcare di una manovra di 40/50 miliardi ogni anno. Una enormità radunabile solo vendendo ogni cosa esista sul territorio e svenandosi di tasse fino alla morte. E siamo già in recessione. Perché i mercati dovrebbero fidarsi? Si dica lo stesso degli altri Stati in difficoltà.

S&P
reuters.com

Germania – Parliamo di credibilità. Che l’Italia abbia parecchie pecche da farsi perdonare sulla gestione del proprio debito è fuori di dubbio, ma i nostri impegni li abbiamo sempre onorati. Prima e dopo Monti. Che alla Germania, ora, spetti il carico maggiore di oneri è altrettanto vero ma non ha voglia di assumerlo. Quando S&P motiva il giudizio spiegando che: “l’esito del vertice del 9 dicembre e le dichiarazioni successive da parte dei politici, ci portano a credere che l’accordo raggiunto non abbia prodotto un cambiamento di portata sufficiente ad affrontare i problemi finanziari della zona euro”. E che “L’accordo politico non fornisce risorse addizionali sufficienti o flessibilità operativa tali da rafforzare le operazioni di salvataggio europee, e non amplia abbastanza il supporto per quei debiti sovrani della zona euro soggetti a pressioni di mercato che si sono fatte più intense”, afferma di nuovo che i mercati non vogliono intransigenza fiscale ma garanzie di stabilità e crescita futura. Ciò che invocano è un rafforzamento della Bce e una revisione integrale del patto internazionale. Subito. E quando la Merkel finge di non capire e si limita a ribadire che ad essere rafforzato sarà il Fondo Salva-Stati (a rischio declassamento), o peggio, che il mercato apprezzerà le riforme dei governi spagnolo e italiano, lascia intendere la risolutezza a non accettare il ruolo né la responsabilità che il mercato le sta imponendo in ragione del suo rating. In sintesi: continua ad infischiarsene, scaricando il peso sui paesi più esposti. E tutto questo non è credibile.

Chantal Cresta

Foto || ansa.it; reuters.com

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