
Salomone, questa volta ebrei e musulmani litigano per il re
Un parco-archeologico dedicato a Re Salomone è il motivo dell’ultimo contenzioso urbanistico tra la comunità islamica e il governo israeliano nella città di Gerusalemme
di Chantal Cresta
Come sempre accade a Gerusalemme ogni stormir di foglia crea un uragano. O se si preferisce, una polemica religiosa che rischia di sfociare in guerriglia tra il governo israeliano di Benjamin Netanyahu e la comunità arabo- musulmana.
Questo è quanto sta accadendo nella città santa a causa di un progetto edilizio per i“Giardini di Re Salomone”: un parco-archeologico che sta sorgendo a Silwan, quartiere a maggioranza araba situato nella zona est di Gerusalemme. Fin qui, nulla di strado, a parte l’eccezionalità dei reperti che anni di scavi hanno portato all’attenzione degli studiosi. Il progetto, se ultimato, restituirà splendore a quella che gli archeologi ritengono essere stata l’antica città di David ( X sec. a.C.).
Il punto è che per consentire la riqualificazione dell’area archeologica il governo israeliano è costretto ad abbattere alcune case palestinesi di Silwan, peraltro abusive e mancanti di tutte le norme minime di sicurezza previste dal piano regolatore israeliano. Da qui la polemica. Le autorità islamiche sono insorte, accusando Israele di volersi “impossessare” della zona est di Gerusalemme, a maggioranza musulmana, attraverso una politica edilizia discriminatoria nei confronti degli islamici.
Nulla sono valse le garanzie del sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat il quale ha più volte offerto agli abitanti abusivi, non solo un lotto di terra oltre le mura dei Giardini del Re, ma anche una nuova abitazione, questa volta a norma di legge, secondo una pianificazione urbana più moderna e funzionale.
Né ha avuto alcun riscontro positivo la consapevolezza che, se il complesso venisse portato a compimento, condurrebbe a una nuova spinta economica attraverso un flusso turistico sempre più attivo di cui beneficerebbero, innanzitutto, i residenti di Silwan. I rifiuti sono stati netti. I coloni hanno minacciato proteste, atti ad ostacolare l’attività degli scavi e il crescendo di accuse recriminatorie contro Israele è stato tale che lo scorso 2 marzo, il Primo Ministro israeliano, Netanyahu, ha bloccato il progetto due ore prima che il sindaco Barkat lo presentasse ufficialmente al Comitato di Pianificazione.
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Considerata la decisione israleiana di costruire nuovi 1600 insediamenti a Gerusalemme Est, penso che almeno il sospetto che questo progetto edilizio miri a indebolire sempre di più la presenza palestinese sia legittimo… o no?
Quando si seppe la notizia che Israele aveva intenzione di edificare case a gerusalemme est, pensai che fosse solo un avvertimento: arriviamo ad un accordo altrimenti, Israele si muoverà per proprio conto. In effetti, oggi, Israele ha fatto un passo indietro: le case non si fanno. Ma il problema resta. Bisogna mettersi in testa che se si firmano accorddi bilaterali, questo implica che anche (e soprattutto) i musulmani sono tenuti a rispettarli.
A quanto ne so io gli insediamenti continueranno… In ogni caso sarebbe meglio non parlare di Israele e di musulmani, ma di Israeliani e Palestinesi: lo scontro non è tra una nazione euna religione, ma tra due popoli…e ahimè si tratta di un tragico conflitto che a mio avviso non contempla una volontà di risoluzione nè da una parte nè dall’altra.
Perfettamente d’accordo con il tuo ultimo punto di vista: difficile dare giudizi quando entrambe le posizioni sono così estreme. Per quanto riguarda la puntualizzazione ti ricordo che non tutti i musulmani sono palestinesi, anche, in terra di Gerusalemme. Invece, dissento da te a proposito della distinzione tra nazione, religione e popolo. Potrebbe essere un punto corretto, a mio avviso, se si stesse parlando di due nazioni definite da una propria ed autonoma legislazione in cui, la religione abbia solo una caratterizzazione culturale. Così, però, non è soprattutto per delle genti, come i musulmani, che fanno della propria religione la definizione della propria identità di popolo.
Non credo che tutti i musulmani basino la loro identità su un fattore religioso, come credo che non lo facciano gli ebrei. Tanto è vero che più volte nel corso della storia e ancora oggi ci sono fatti di reciproca collaborazione che va al di là dell’identità religiosa. Credo piuttosto che questa estremizzazione del senso di appartenenza religiosa sia più un retaggio mediatico gonfiato dai governi locali che non un dato oggettivo.