Roma-Barcellona: i paradossi del Luis Enrique allenatore

Roma-Barcellona è sopratutto la sfida tra il passato "fallimentare" di Luis Enrique e il suo glorioso presente. Una rapida ma spiegabile trasformazione

luis enrique

Luis Enrique, dal “fallimento” alla Roma al triplete con il Barcellona. Passato e presente si incroceranno stasera all’Olimpico (foto: metafootball.com)

Poco più di tre anni fa se n’era andato con il fardello del fallimento sulle spalle, ora torna a Roma da avversario temuto e rispettato, alla guida di un Barcellona che in pochi mesi è riuscito a far tornare ai livelli toccati da Pep Guardiola. Il calcio è strano, e la carriera da allenatore di Luis Enrique lo dimostra ogni giorno di più. Alzi la mano chi l’avrebbe mai detto, magari il giorno dopo l’eliminazione dei giallorossi dall’Europa League per mano della più modesta Slovan Bratislava, che l’asturiano sarebbe tornato nella capitale esibendo un Triplete.

DALLE INCOMPRENSIONI AL TRIPLETE – Invece, eccolo qua, dopo un anno di riflessione e uno di purgatorio al Celta Vigo, Luis Enrique è tornato a casa sua, in quella Barcellona che lo amò all’infinito e con la quale vinse quasi tutto da giocatore. Quasi, perchè gli mancò la Champions League, quella coppa dalle grandi orecchie che sulla panchina dei blaugrana ha centrato al primo tentativo. Dopo aver sbaragliato avversari quali Juventus, Psg e Bayern Monaco. Esatto, il Bayern di Guardiola, il creatore dell’ultimo grande Barcellona, quello che, dicevano i critici, Luis Enrique aveva semplicemente ereditato, che si guidava praticamente da solo, che anche un bambino avrebbe saputo portare verso la vittoria.

RACCOMANDATI E DETRATTORI – Insomma, Luis Enrique raccomandato, questa era la sintesi delle argomentazioni dei suoi detrattori. Inconsapevoli forse che il Barcellona del dopo-Guardiola non era la squadra più facile da allenare, che i campioni frustrati dalla mancanza di vittorie sono i giocatori peggiori, ognuno con le sue pretese e  i suoi capricci. E l’allenatore deve farli convivere in campo, consapevole, a differenza di molti tifosi, che il calcio reale è diverso da un qualsiasi gioco per il computer.

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Uno striscione apparso all’Olimpico verso la fine della stagione 2011-2012 (foto: calcioweb.eu)

TEMPI E RIVOLUZIONI – Luis Enrique ha rischiato, ha arretrato Messi tra le linee per garantire spazio sia a Neymar che a Luis Suarez. Un gesto pericoloso, considerato che “la pulce” è uno che, la storia recente del Barcellona insegna, in campo decide dove stare e sopratutto con chi giocare. L’asturiano ha portato in campo il suo bagaglio di idee, mescolate con quella tradizione catalana che conosceva sia da giocatore che da allenatore della primavera. L’uomo giusto nel posto giusto? Forse, oppure è solo l’ennesimo esempio volto a dimostrare che i risultati, a volte, pretendono tempo e fiducia. Come fu per Herrera all’Inter prima di diventare “Il Mago”, tanto per scomodare uno degli allenatori che del calcio hanno fatto la storia. Luis Enrique venne chiamato per lanciare un progetto, una rivoluzione che partisse quasi da zero, ma nella capitale troppi gli chiesero tutto e subito, imputando a lui le colpe di un organico non proprio eccezionale. Ma il tempo è galantuomo, e l’asturiano è tornato da avversario temuto e pluridecorato. Difficile dire come sarebbero andate le cose con un pizzico di pazienza in più, e per certi versi sarebbe anche inutile parlarne ora. Anche perchè, nel calcio gli errori tendono a ripetersi all’infinito, e sempre più allenatori verranno messi alla porta senza troppi rimpianti. Bè, almeno fino al prossimo triplete.

Carlo Perigli

 

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