Rivoluzione Google: «Basta censura in Cina»

Dopo l’attacco informatico cinese negli archivi, Google dice basta alle censure. L’azienda di Silicon Valley riceve l’appoggio di Obama e potrebbe lasciare il paese asiatico. La Cina risponde: «Guidare l’opinione pubblica»

di Nicola Gilardi

google_cina_censura_2Scontro frontale tra il regime cinese e Google. I rapporti si sono ormai sfilacciati del tutto e presto il motore di ricerca più usato del mondo potrebbe abbandonare la Cina non volendo più sottostare alle sue ferree leggi di censura.

In passato Google aveva appoggiato la politica dei filtri imposta dal regime. Molti contenuti sono inaccessibili per i cittadini cinesi, infatti, attraverso il motore di ricerca, alcune parole sono state bloccate e danno soltanto i risultati “suggeriti” dal governo cinese. Oltre a questa politica di controllo, tutti i maggiori siti di social network e condivisione, come Facebook, Twitter e Youtube sono bloccati.

Ma cosa ha portato Google a cambiare il suo atteggiamento verso il governo cinese? A scatenare questo parapiglia è stato l’attacco informatico operato nei confronti di 34 aziende di Silicon Valley, fra le quali anche quella di Google.  Dietro a questo «sofisticato attacco» ci sarebbe proprio la mano del regime cinese. L’incursione hacker, infatti, sarebbe stata rivolta verso le informazioni sui cittadini cinesi, per scovare degli attivisti dei diritti umani e sono state violate le caselle di posta elettronica di alcuni leader oppositori.

Questo, però, è stato soltanto l’ultimo abuso subito. Come afferma Rebecca MacKinnon, esperta di Internet in Cina: «Google ha subito negli ultimi mesi ripetute prepotenze e rischia di non poter garantire agli utenti la sicurezza delle sue operazioni».

La reazione di Google è stata veemente ed ha minacciato di lasciare tutte le sue attività nel Paese orientale, interrompendo così la sua collaborazione con il governo. Dalla parte dell’azienda di Mountain Wiew si è schierato Barack Obama che ha affermato: «Io e la mia amministrazione siamo convinti sostenitori della libertà per Internet».

dalai-lama

Dalai Lama, esiliato dal regime comunista cinese

La risposta della Cina è stata affidata al ministro dell’Ufficio informazioni del consiglio di Stato, Wang Chen che ha difeso l’operato cinese, dicendo che i media ed Internet devono contribuire a «guidare l’opinione pubblica». La posizione dei cittadini cinesi resta però divisa. Da una parte ci sono i blogger, che per la maggior parte si sono schierati con Google manifestando il proprio appoggio davanti ai suoi uffici a Pechino. Dall’altra ci sono i grandi giornali nazionali, che difendono il regime con slogan nazionalisti e antiamericani.
Per ora la rete cinese è stata liberata dai filtri e sono stati resi disponibili tutti quei siti per anni “proibiti” come quello del Dalai Lama e dei dissidenti che denunciano il massacro del 1989 in piazza Tiananmen.

La comunità internazionale sta adesso valutando se l’azione subita da Google rientri nelle violazioni dei diritti civili. Quella del ritiro comunque resta un’ipotesi lontana e gli scenari futuri sono ancora inimmaginabili. Resta però la critica continua verso quei motori di ricerca che collaborano con i regimi nel controllo della rete contribuendo alla violazione del diritto dei cittadini ad esprimersi liberamente.

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