Recensione – ‘Venere in pelliccia’, uno scambio di genere

Il poster del film

Il poster del film

Due anni fa aveva rinchiuso due coppie di genitori infuriati in un appartamento di New York, mettendo a nudo la più crudele bestialità celata dietro i veli labili del perbenismo borghese. Roman Polanski, premio Oscar per Il pianista, torna dietro la macchina da presa con Venere in pelliccia (in sala da giovedì 14 novembre distribuito da 01Distribution), interpretato dalla moglie, la sensuale Emmanuelle Seigner (che con lui aveva girato La nona porta, Frantic e Luna di fiele) e da Mathieu Amalric (007 – Quantum of Solace, Cosmopolis) che, a detta del regista, molti hanno definito un proprio sosia.

Come in Carnage, torna di nuovo lo spazio chiuso, tipico della filmografia del regista polacco, ma stavolta al posto dell’appartamento con preziose suppellettili, fiori delicati e cataloghi d’arte, a rinchiudere i protagonisti è un teatro parigino. Dopo una giornata passata a fare audizioni per trovare l’attrice che possa interpretare il lavoro che si prepara a mettere in scena, Thomas (Mathieu Amalric) si lamenta al telefono del basso livello delle candidate: nessuna di loro possiede lo stile necessario per il ruolo da protagonista. Mentre sta per uscire, appare Vanda (Emmanuelle Seigner), un vero e proprio vortice di energia, sfrenata e sfrontata. Vanda incarna tutto quello che Thomas detesta: è volgare e stupida, e non si fermerà davanti a niente pur di ottenere la parte. Praticamente costretto, Thomas decide di lasciarla provare, e con stupore vede la bella attrice trasformarsi. Non solo la donna si è procurata oggetti di scena e costumi, ma capisce perfettamente il personaggio (che d’altronde ha il suo stesso nome), di cui conosce tutte le battute a memoria. L’audizione si prolunga, diventando via via più intensa e l’attrazione di Thomas si trasforma lentamente in ossessione

Emmanuelle Seigner (Vanda) e Mathieu Amalric (Thomas) in una scena del film

Emmanuelle Seigner (Vanda) e Mathieu Amalric (Thomas) in una scena del film

Presentato alla 66° edizione del Festival di Cannes, Venere in pelliccia è tratto dall’opera teatrale La Vénus à la furrure di David Ives (co-sceneggiatore assieme allo stesso regista), adattamento dell’omonimo romanzo erotico ottocentesco di Leopold von Sacher-Masoch (da cui il termine “masochismo”), così come Carnage fu l’adattamento cinematografico dell’opera teatrale Le Dieu du Carnage di Yasmina Reza. E da Carnage, Venere in pelliccia prende molte cose in prestito, a cominciare, come si diceva, dallo spazio chiuso e claustrofobico, che intrappola i protagonisti costringendoli, lentamente, a rivelare le loro più bestiali pulsioni. Pulsioni che il regista si diverte a mostrare ad uno stupito spettatore, mettendo alla berlina, ancora una volta, il perbenismo borghese e i suoi tabù.

In un continuo gioco di sguardi e battute, il teatro si fa realtà e la realtà si fa teatro, finché i personaggi di finzione, poco a poco, prendono letteralmente possesso dei corpi dei protagonisti. In una continua commistione di spazi reali e immaginari, la Venere – Vanda seduce il povero Thomas, ribaltando i ruoli in una brillante dinamica di scambio di genere, quasi a voler ribadire la superiorità (e la furbizia) del genere femminile.

Perfette le interpretazioni degli attori, magistrale la regia, brillanti i dialoghi. Venere in pelliccia conferma di nuovo la maestria e l’ironia di Roman Polanski, che sembra attraversare ora una fase più “essenziale” e naïf, scherzosa e derisoria, senza perdere mai di vista la complessità (e la perversione) della psiche umana.

(Foto: SW Service)

David Di Benedetti

@davidibenedetti

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