Recensione – Tir, un docufilm banale su un’idea originale

Il poster del film

Il poster del film

Tra gli ultimi film in concorso all’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma è stato presentato oggi Tir, secondo lungometraggio di Alberto Fasulo, che racconta la storia di Branko, professore croato che abbandona l’insegnamento per lavorare come camionista per una ditta di trasporti italiana.  L’intero film vorrebbe ruotare attorno al dissidio interiore che vive il protagonista, per aver scelto un lavoro di indubbia fatica e resistenza fisica, allontanandosi dalla sua terra e dai suoi affetti per poter guadagnare di più e garantire un giorno a sé e alla propria famiglia una vita migliore.

LA TERZA VIA TRA FILM E DOCUMENTARIO – In linea con il trend affermatosi a partire dall’ultima edizione del Festival di Venezia, che ha conferito il Leone d’Oro a Sacro GRA di Gianfranco Rosi, è senz’altro giusto riconoscere ai documentari la “dignità” di film, a patto, però, che di film si possa parlare. Tir sceglie una strada ibrida, raccontando una storia vera con l’approccio realistico proprio del documentario ma sceneggiata e interpretata su un copione scritto. Il risultato di questa combinazione è un docufilm, quindi un film asciugato degli elementi di finzione e che tende a essere un prodotto il più verosimile possibile.

Una scena del film

Una scena del film

UN’INDAGINE SOCIALE Seppur trattato in secondo piano, come ha dichiarato lo stesso regista, il tema sociale, non necessariamente in un’ottica di esplicita denuncia, impregna l’intera pellicola. La ricerca di un lavoro manuale ben retribuito è ciò che, oggi più che mai, spinge molti uomini e donne che svolgono professioni intellettuali e vantano curricula pieni di titoli e qualifiche a migrare dall’Est Europa verso i paesi più a occidente come il nostro. Si deve riconoscere, sul piano della scelta del soggetto, che sono davvero in pochi ad aver affrontato nel cinema il dramma personale che si cela dietro decisioni di questo tipo.

I PUNTI DEBOLI – Nonostante l’originalità dell’idea e la costruzione di dialoghi credibili, al film di Fasulo manca tutto il resto. Non c’è un ritmo che renda la narrazione interessante, né vengono adeguatamente sviluppati gli elementi tirati fuori dal regista. Sembra essere tutto dettato un po’ dal caso e ne viene fuori un lavoro privo di anima, di compattezza. Ammesso che non vi fossero obiettivi o messaggi particolari racchiusi nel progetto di questo film, non può neanche dirsi che funzioni come semplice spaccato fotografico di una realtà sommersa e poco raccontata, perché la lente di Fasulo inquadra (purtroppo da lontano) sempre e soltanto un unico concetto.

Giulio Luciani  

@julienlucien

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