
Questa settimana nei negozi di dischi: Rival Sons e North Atlantic Oscillation in piena maturità
Sappiamo benissimo che, praticamente, quasi ogni decade del secolo scorso ha recuperato, in vari contesti di “revival”, stili, influenze, pratiche, teorie e concezioni relative a quella precedente, talvolta spingendosi anche un po’ più in là (è il caso, ad esempio, di un certo garage rock anni ’80, direttamente riferibile alle lucide follie psichedeliche di vent’anni prima a nome Thirteenth Floor Elevators o Chocolate Watch Band, tanto per fare qualche nome). Orbene, sembra che anche gli “anni zero” stiano, in un certo senso, campando, da una parte, di recuperi elettronici post Eno e simili (per assemblare, però, veri e propri quadri prospettici di notevole valore artistico: si vedano, ad esempio, le ambientazioni sonore di gente come Alva Noto, Thomas Koner o Ryuichi Sakamoto) e, dall’altra, di escursioni ancora più retrodatate. Tuttavia, si tratta, soprattutto in questo secondo caso, di un recupero che non nasconde, almeno, un nobile fattore di lezione appresa e messa in pratica in una maniera prossima a quella migliore di esprimersi secondo chiavi non di propria fabbricazione.
La parola d’ordine, dunque, è Led Zeppelin (eccome se lo è) per gente come gli statunitensi Rival Sons, in arrivo direttamente da Los Angeles, California, per proporre una vera e propria rilettura (che ad alcuni potrebbe sembrare, magari a ragione, quasi una sorta di plagio) di quel particolare tipo di (ormai ex) nuovo rock su cui Plant, Page, Bonham e Jones lasciano regnare praticamente un copyright. Plagio o non plagio, ex o non ex, però, il rock “seventies” proposto da Jay Buchanan (detentore, tra l’altro, di una voce come poche sul panorama generale attuale) e compari giunge al suo terzo prodotto discografico in studio, Head down, con una maturità tale da lasciare emergere, oltre alla consueta energia da palcoscenico, anche un certo lato intimo legato a ballad ben più intimiste e debitrici ad un certo folk proprio di matrice statunitense (in questo, dunque, onore ad un minimo di ricerca delle proprie stesse radici). Il disco, ad ogni modo, è ottimo e conclude una trilogia iniziale (partita con il potente Before the fire nel 2009 e passata per un altro gran bel lavoro come Pressure & time nel 2011) tutt’altro che da escludere da un quoziente di particolare attenzione. Insomma: a volte, il passato che ritorna lo fa apposta per dirci che qualcosa ancora offre, in qualche modo, un certo respiro.
Sempre in tema di revival, anche se ben più dedito a un certo tipo di sperimentazione distorsiva (malgrado le esperienze puramente rockabilly del leader fondatore a nome Heavy trash), si collocano i mitici Blues Explosion del sempre vivissimo e ben prolifico signor Jon Spencer grazie al nuovo Meat & Bone, ennesimo interessantissimo coacervo di rock alternativo e, soprattutto, hard blues che da sempre contraddistingue l’anima dei suoi diretti fautori ponendoli un gradino più in alto rispetto a chi si ferma esclusivamente alla soglia del revival senza provare a metterci quel tantino di proprio che basta a contrassegnare lo stile di un determinato prodotto con precisi e comunque chiari riferimenti. Dunque, dischi grandiosi come Acme, Acme plus, Plastic Fang o Damage hanno portato il trio newyorkese, dopo ben otto estenuanti anni di attesa dall’ultimo vero disco in studio, sulla soglia dell’olimpo delle divinità ancora ingiustamente sconosciute del rock-blues moderno. Altro ottimo disco, anche se non chissà quanto innovatore rispetto ai precedenti, usciti comunque quando gente ora mondialmente nota come Black Keys o White Stripes doveva ancora farsi le ossa tra le mura umide di una cantina.
A respirare zolfo e anidride carbonica da fermentazione, secondo il giudizio di molti, invece, dovrebbero tornare (o cominciare una volta per tutte) i Bloc Party, di ritorno nei negozi con Four, per l’appunto quarto album in studio purtroppo segnato da numerosissime polemiche esterne a ciò che il supporto stesso contiene. Tra dissapori interni alla band, prove soliste tutt’altro che convincenti e decisioni prese ma successivamente revisionate (come, tra tutte, quella relativa allo scioglimento), sembrano ormai lontani ed irrecuperabili gli esordi scoppiettanti nel segno dell’underground (come troppo spesso accade alle band a cui un certo ramo della critica internazionale attribuisce forse più importanza del dovuto) di Silent alarm, anche se, ovviamente, non è mai detta l’ultima parola, motivo per cui è possibile apprezzare, di un disco sostanzialmente instabile e poco soddisfacente, le mai discusse doti vocali di un Kele Okereke pur sempre più che rispettabile in merito a serietà artistica. Per il resto, c’è tanto da analizzare per testo e contesto.
Chi invece non ha bisogno di ulteriore rodaggio, vuoi perché dotato di talento proprio, vuoi perché capitato sotto il paternalismo produttivo di casa Steven Wilson (il più delle volte sinonimo di elevata qualità), è la band scozzese che porta il nome di North Atlantic Oscillation. In Italia avemmo finalmente l’occasione di assaporare le loro gesta live come apertura (guardacaso) almeno alle date italiane del tour europeo dei Blackfield (uno dei tanti, ormai troppi, progetti dello stesso Wilson, al fianco di Aviv Geffen, per il quale, tra l’altro, si attende una quarta uscita discografica). Oggi, abbiamo l’opportunità di poterci godere comodamente Fog electric, secondo lavoro che segna già una piena maturità che l’agglomerato di Sam Healy e soci per tramite di un concetto di composizione rock-pop-elettronica stavolta ben più aperta ad un formato canzone che evidenzia, per certi versi, anche un profondo sostrato di conoscenza neo-progressive assolutamente rispettabile (d’altra parte, le lezioni apprese proprio da Wilson non possono non aver generato buoni frutti). Certo, notevolmente riconoscibili sono influenze del calibro di Radiohead, Mogwai o Elbow, ma tra le viscere di questi quattro giovani geni compositivi c’è pur sempre dell’altro, qualcosa che va oltre il solo concetto di contaminazione o riferimento da citazione.
Buon ascolto.
Stefano Gallone