
Questa settimana nei negozi di dischi
Si parla tanto di crisi nazionale e non si fa altro che (più o meno giustamente) bestemmiare al solo pensiero del rischiare di avere certezza nell’ipotizzare un qualunque futuro purché lontano da qui, lontano dal freddo glaciale che investe la nostra epoca e la nostra generazione, via dallo schifo quotidiano di ritrovarsi al termine di ogni maledetta giornata con un pesante bagaglio di mal di testa e con le tasche rigorosamente vuote.
Deve aver avuto un gran coraggio (spinto e dettato, ovviamente, da una inossidabile voglia di vivere una vita scelta e portata avanti con sudore e contro ogni perenne dilemma esistenziale), allora, il buon Luca Sapio. «E chi cavolo è?!», vi chiederete giustamente. Orsù, rimembrate quel gran bel gruppo (anche perché fortemente innovativo malgrado la classicità degli strumenti usati) di nome Quintorigo? Ebbene, Sapio ne era l’ottima voce solista prima dell’abbandono risalente ad alcuni anni fa. Da allora fino ad oggi, la sua vita è stata cosparsa di aria d’oltreoceano intrisa di storie di vita vissuta, di tradizione a stelle e strisce, vale a dire lo stretto necessario per vivere sulla propria dura pelle l’essenza primordiale di vere e proprie ragioni di vita quali il soul o il rythm’n'blues. L’ottima lezione appresa, dunque, trapela in tutta la sua stimolante bellezza in questa sua avventura solista a nome Luca Sapio and Capiozzo & Mecco (dove, attenzione: Capiozzo è il batterista Christian, figlio di Giulio degli Area). Stiamo parlando di Who knows, gran bella prova di come pur avendo sangue mediterraneo si possa, facendo di necessità virtù, tirar fuori il meglio di quello che, probabilmente, si è diventati. Largo, dunque, a organo, chitarre acustiche, fiati e una voce che (lo sapevamo già) non fa cilecca davvero in nessuna occasione (andate a rivedervi, tanto per capirci, la performance dei Quintorigo ad un primo maggio sulle note di Highway star dei Deep Purple). Insomma, spendeteli pure tranquillamente questi 17 euro.
Allo stesso modo, potreste anche pensare di spenderne circa una trentina se davvero volete apprezzare quanto di meglio prodotto da questo maledetto paese nel corso degli ultimi 40 anni. È sugli scaffali dei negozi di dischi, infatti, un quasi imperdibile doppio box a nome Banco del mutuo soccorso e contenente un’ottima ristampa del primo lavoro omonimo (meglio conosciuto come “Il salvadanaio”), per la precisione 2 cd (o doppio vinile) contenenti la ristampa rimasterizzata del disco, 3 versioni live (registrate durante una performance alla Stazione Birra lo scorso 28 arile) e 3 brani inediti. Il tutto, per celebrare il quarantesimo compleanno di uno dei più importanti capolavori del progressive italiano e non solo. A seguire, arriveranno anche due libri celebrativi della stessa band: Non ci rompete di Francesco Villari (biografia ufficiale della band) e Sguardi dall’estremo occidente di Vittorio Nocenzi (tastierista, compositore e fondatore della band capitolina) e Gianfranco Salvatore.
Sempre dall’Italia, in particolare da quel minuscolo ma prolifico nucleo creativo che è la cittadina campana di Avellino, tornano a devastare gli amplificatori propri e altrui i “garagisti” Funny Dunny, band (appunto) psychedelic garage di tutto rispetto anche perché esimia maestranza di genere in un ramo del contesto nazionale apprezzato anche all’estero (Inghilterra in primis). The waiting grounds, dunque, irrompe sugli scaffali dei negozi a ricordare di che pasta sono fatti Giulio Laudadio, Renato Pagliuca & company, ovvero soggetti particolarmente dediti (con un certo feeling anche per le calde registrazioni analogiche) alle autoproduzioni (come questa), specie se indicate come miglior possibilità di raggiungere quei picchi di watt che si è convinti di avere nel sangue dalla nascita. Sembra, insomma, di ascoltare una versione risorta di Sonics, Chcolate Watch Band, Hunger o (azzardando) MC5. Tirate fuori qualche altro soldo dal portafogli, in definitiva. E se non lo trovate subito, prendete per il collo il rivenditore affinché ne ordini qualche copia oltre la vostra per il bene dell’umanità.
Infine, male non sarebbe fare un salto in territorio statunitense per ritrovare i fantomatici Dandy Warhols, noti al grande pubblico per la hit single del 2000 Bohemian Like You (maldestramente sfruttata dalla Vodafone) ma capaci di fare anche altro, come dimostra il loro nuovo lavoro in studio This machine, in arrivo a quattro anni di distanza dal precedente Earth to the dandy warhols e subito intenzionato a gettare in tavola le migliori carte del caso, a partire dal produttore (il Tchad Blake amico anche di Pearl Jam e Black Keys…e scusate se è poco) per arrivare ad un consolidato e corposo suono pop-rock psichedelico delle migliori fatture misto a quella particolare concezione post grunge e synth pop che contraddistingue l’agglomerato di Courtney Taylor-Taylor e soci fin dalla sua nascita.
Buon ascolto.
Stefano Gallone