
Provenzano figlio, i tour sulla mafia e il diritto a una vita normale
Impiegato in un "mafia tour", Angelo Provenzano difende il suo diritto ad una vita privata. Su di lui piovono le critiche, ma il vero problema qual è?
«Francamente non capisco l’interesse per questa vicenda. Ho diritto o no a una vita normale? O devo continuare a pagare per il cognome che porto? Non vi è già bastato quello che avete fatto a mio fratello?» Angelo Provenzano non ci sta e nell’intervista rilasciata a La Repubblica attacca il quotidiano diretto da Ezio Mauro, rivendicando di poter vivere, lontano dai riflettori, la sua nuova vita come “tour operator della mafia“.
IL MAFIA TOUR – Da mesi, difatti, il figlio del super boss, attualmente posto in regime di carcere duro, lavora per conto di un tour operator di Boston. Si tratta di viaggi organizzati per turisti che non vogliono limitarsi a vedere le bellezze della Sicilia, ma che di quella terra vogliono conoscere anche i lati più oscuri, le storie di mafia, meglio se raccontate da qualcuno che, seppur indirettamente, le ha vissute. Così, nel corso del tour, è previsto l’incontro con Angelo Provenzano, che ai turisti racconta la sua vita, il rapporto con il padre e gli anni della latitanza, rimanendo a disposizione per rispondere alle domande dei più curiosi.
LE REAZIONI - Una situazione che, com’era in parte prevedibile, ha suscitato forti critiche. «Angelo Provenzano ha potuto studiare e vivere con il sangue dei nostri martiri, dovrebbe rinnegare il padre, cambiare il suo nome, conoscere la fatica di chi lavora nei campi confiscati alle mafie», ha dichiarato Vincenzo Agostino, padre di Lino, poliziotto ucciso dalla mafia. Uno sdegno in linea con le dichiarazioni rilasciate dal senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia, secondo cui «oltre a raccontarsi ai turisti il figlio di Provenzano potrebbe trovare un po’ di tempo per dire ai magistrati dove si trovano le ricchezze accumulate dal padre e chi le amministra».
UNA STORIA CONTORTA – Tutto giusto, anche se tuttavia bisogna anche chiedersi quali siano le colpe di Angelo Provenzano in tutta questa storia. Fermo restando che il cognome non può rappresentare un capo di imputazione, lo si può accusare di fare speculazione, arricchendosi sugli orrori commessi dalla mafia? Forse si, ma che differenza potremmo trovare con quell’immensa mole di ristoranti, locali, film e serie cinematografiche che nella mafia hanno trovato una fonte inesauribile di popolarità? Così come i numerosissimi “mafia tour”, che, anche senza i racconti di Angelo Provenzano, attirano turisti da tutto il mondo; veri e propri fenomeni commerciali, per niente diversi da quello in cui è impiegato il figlio del boss. Ma allora qual è il vero problema? Che sulle tragedie provocate dalla mafia si sia creato un business potenzialmente infinito, a cui tutto sommato poco interessano le sofferenze delle vittime, o che il figlio del boss racconti la propria storia?
Carlo Perigli
@c_perigli
foto: lavika.it