
Poste Italiane viene smantellata in nome del nulla
Dopo l'entrata in borsa si continua a privatizzare un'azienda sana e a Palermo già si tagliano i recapiti
“Venghino signori Venghino!” ad assistere alla riduzione e progressivo smantellamento del servizio postale italiano. Questo avrebbero dovuto scrivere i giornali all’indomani dell’entrata in borsa di Poste Italiane nell’ottobre scorso; quantomeno il governo avrebbe dovuto far notare gli effetti negativi potenziali dati da una vendita del 35,3% ai mercati. Invece niente se non toni trionfalistici da parte del Ministro delle finanze Giancarlo Padoan, dal Primo Ministro Matteo Renzi e ovviamente dall’amministratore delegato Francesco Caio. Parliamo di un servizio quello postale che è sempre meno pubblico e lentamente viene dato in pasto ai privati con conseguenze negative non dette ma che si stanno rivelando prima del previsto. Proviamo a sintetizzare pratica e teoria in quest’articolo per dare una visione completa.
I FATTI NUDI E CRUDI - Oltre alla parte già ceduta ai mercati il 27 ottobre 2015, il Governo ha da poco deciso di cedere un ulteriore 35% a Cassa Depositi e Prestiti, S.p.A per l’80% del Ministero dell’Economia ma per il 18% di fondazioni bancarie. Il restante 29,7? Si quoterà in borsa. Questa ulteriore e decisiva privatizzazione/finanziarizzazione di Poste avverrebbe probabilmente dopo il Referendum costituzionale, per non far diventare ottobre da caldo a bollente. I dati del 35% già in borsa non sono poi così confortanti: negli ultimi sei mesi il titolo ha perso il 5,32% quotandosi ad oggi a 6,22 ad azione, meno dei 6,75 euro del valore azionario al debutto in borsa. Insomma, Poste finora dalla borsa ha solo perso capitali. Fondamentalmente oltre il 65% di Poste sarà in mano a privati e quindi lo Stato Italiano si priverà delle entrate derivanti da una delle maggiori aziende ancora per poco pubbliche del Paese. Un restante 35% resterà a Cassa Depositi e Prestiti ma ricordiamo che in essa la presenza delle fondazioni bancarie nel CDA non rassicura di certo sui futuri standard del servizio; infatti le banche sono concorrenti di poste per i servizi bancari e assicurativi.
PALERMO FUORI DAI GIOCHI – Passiamo dai numeri a conseguenze reali. Poste inizia a tagliare i servizi di recapito e con poca sorpresa non parte da Milano o Torino ma da Palermo. Il servizio di recapito a breve sarà effettuato a giorni alterni, fatto unico tra le città metropolitane. Già da ottobre l’aereo postale non atterra a Palermo e a Catania ma solo in quest’ultima, provocando ritardi nella consegna giornaliera in Sicilia Occidentale e ovviamente creando un impatto ambientale considerevole visto che il trasporto si realizza sul gommato. I lavoratori palermitani hanno organizzato un’assemblea il 1 di agosto e il Consiglio Comunale di Palermo ha approvato una delibera per chiedere un tavolo sindacale con l’azienda portato avanti dal sindaco Leoluca Orlando e dal Presidente della Regione, Rosario Crocetta. Se il primo ha risposto con un deciso appoggio alla protesta, almeno a parole, il secondo, probabilmente in vacanza in quel di Tusa, avrà spento tv e dispositivi elettronici. In ogni caso cosa sono le istituzioni locali in confronto ad un governo che lavora incessantemente per la finanza?
I SINDACATI SI SVEGLINO DAL LETARGO – Nel frattempo sotto il sole agostano i sindacati solo a livello locale restano liberi e iniziano a svegliarsi. Inizia a concretizzarsi il timore che le poste interamente private sviliranno i servizi di recapito per trasformarsi sempre di più in banche ed assicurazioni. Se a Palermo i lavoratori preparano una marcia su Roma, a Firenze praticamente tutte le sigle sindacali scendono in piazza e in Molise il Segretario regionale CISL Antonio D’Alessandro, parla di Esecutivo governativo che fa riferimento a banchieri e a finanza e afferma che «come rappresentanti dei lavoratori siamo preoccupati per lo smembramento dell’Azienda e per le conseguenti ricadute sul piano occupazionale. Sono a rischio almeno 20.000 posti di lavoro! Altro che le 8.000 assunzioni narrate nel piano industriale. Il progetto che stiamo tentando di fermare non ha motivazioni industriali. Consentirà solo ed esclusivamente di raccogliere denari, per finanziare speculazioni finanziarie per interessi degli amici.
DA DOVE NASCE IL PROBLEMA – Ecco le motivazioni, capire il perché è fondamentale in tutti i processi. Il problema non è casuale o relativo al solo servizio postale ma strutturale e riguarda il sistema economico italiano e neoliberista in generale. Concedere ad imprese profit un servizio pubblico vorrà dire cambiare la sua missione da “provvedere a servire tutti” a “fare profitto”. Ancora peggio è finanziarizzare un’impresa pubblica, cioè darla in pasto ai mercati finanziari e quindi cambiarne la missione che sarà trarre profitto per gli azionisti. Senza giudizi di merito in questo caso il sistema è chiaro. Se la struttura rimane pubblica lo scopo è fornire un servizio ai cittadini; ai futuri consiglieri d’amministrazione invece interesserà arricchirsi con consistenti bonus che vengono dal mercato. Cosa porta bonus agli amministratori? Aumentare i profitti. Qual’è la maniera più rapida di aumentare i profitti? Tagliare i servizi che seppur funzionali ad ampie fasce di cittadini non portano profitti, aumentare l’anima commerciale di Poste, tagliare i dipendenti che la tecnologia può sostituire nonché filiali e ovviamente abbassare i salari dei lavoratori. Inoltre sottoporre un servizio pubblico alle oscillazioni del mercato è un grave rischio. Non si tratta di illazioni ma di teorie economiche ben supportate dai fatti già raccontati. La Brexit per esempio ha fatto ridurre di molto il valore azionario di Poste tra giugno e luglio. Insomma, Palermo non dovrà avere la posta ogni giorno, in Toscana non ci dovrà essere un organico adeguato ma il tutto per cosa? Per dare all’erario dai 6 ai 9 miliardi di euro (meno delle entrate che Poste garantisce in 5 anni) e ridurre di un nulla il debito pubblico che comunque non cresce a causa di Poste, visto che l’azienda è in salute. Il tutto con la felicità di coloro che ignari ancora sostengono l’efficienza dei mercati, dimostrando di essere incompetenti o in caso contrario pericolosi criminali. Il “cambiamento siamo noi” è lo slogan di Poste. C’è da sperare che questo venga fermato al più presto da cittadini consapevoli.
Domenico Pellitteri
Assolutamente concorde con la relazione del Dottor Pellitteri ! Sono un ex dirigente Delle Poste italiane e la politica apportata era quella di trarre il max profitto a discapito dei lavoratori (ULU) x liquidare ed avere capitali freschi da investire in compagnie aeree ed immobili fuori mercato Europeo. Esempio la partecipazione in Alitalia ed in quella Francese. Sono convinto che presto le azioni da € 6,35 a breve si dimezzeranno e l’ azienda per colmare i gup dovrà vendere il restante 28 % di capitale e lo Stato non potrà intervenire xche si metterebbe contro le banche europee e Ué. Sarà un disastro senza precedenti con 60.000 lavoratori a casa.
Vorrei avere la possibilità di fermare queste terrificanti decisioni, ma dormono tutti? Questi sciacalli devono sempre avere il pasto facile? Cosa facciamo?
Se siamo arrivati a questo punto è anche grazie al clientelismo che è sempre girato attorno al gruppo Poste.Nei vari decenni ci sono state tante (troppe) assunzioni tramite raccomandazione.Nella mia città ci sono tre sorelle che lavorano alle poste, sindacalisti che hanno piazzato chi volevano loro.Ma di che stiamo parlando? Le poste hanno rappresentato sempre l’ammortizzatore sociale per chi aveva buone conoscenze. Avete spremuto l’arancio fino all’osso.Vi sta bene
Vi ricordo cari colleghi per chi se lo fosse dimenticato che il Signor Padoan, a messo col culo perterra sia l’enel che le ferrovie, mandando a spesso migliaia e migliaia di lavoratori, quindi se non volete fare la stessa fine muovetevi in massa, fate vedere di che pasta siete.