
Polvere, la degradazione del sentimento è una Scena Verticale
L'attualità dell'argomento e la potenza evocativa della messa in scena: 'Polvere' della compagnia calabrese Scena Verticale ha lasciato il segno a Lustri Teatro

Cecilia Foti e Saverio La Ruina sul palco del Centro ASI di Solofra (Francesco Guarino)
“Non so quanto c’entri il femminicidio con questo lavoro. Ma di sicuro c’entrano i rapporti di potere all’interno della coppia, di cui quasi ovunque si trovano tracce”. Sono pochissime le note di regia con cui Saverio La Ruina – cofondatore della compagnia teatrale calabrese Scena Verticale – presenta Polvere, spettacolo di cui è coprotagonista con Cecilia Foti, andato in scena sabato 11 marzo al Centro ASI di Solofra per Lustri Teatro, interessantissima rassegna culturale curata da Enzo Marangelo. Forse perché le parole non servono, ma basta la potenza evocativa della messa in scena.
Polvere esplora in poco più di un’ora la degradazione di un rapporto di coppia attraverso piccoli gesti quotidiani. E con l’accortezza minuziosa della scrittura scava nell’inconscio di ognuna delle due metà della coppia sul palco, ma anche di quelle in platea. Abbracciando l’Italia recente e passata, quelle pagine di cronaca bollate come “omicidi passionali” o “raptus”, che invece nascondono praticamente sempre un background di lento ed inesorabile logorìo. Una piramide rovesciata, in cui nulla si aggiunge e tutto si toglie, o una scena verticale di degradazione, appunto.
La Polvere del titolo è quella che lentamente si solleva attorno alla lei della coppia sul palco: una donna fragile ma solare che ama riempire la casa di colori e col suono della propria voce. Una donna che giorno dopo giorno vede la propria storia d’amore trasformarsi in un incubo, fatto di confessioni che diventano domande morbose, gelosie reiterate, telefonate nel cuore della notte. Dall’altra parte un aguzzino disarmato – almeno inizialmente – che passa dall’idealizzazione all’annullamento della propria donna. La sminuisce giorno dopo giorno, ne mina le poche certezze, ne spegne sorriso e voglia di essere se stessa. La induce a mentire quasi involontariamente, pur di tutelarsi dall’ennesimo processo tra le mura domestiche, che non lascia inesplorati neanche i pareri sull’arredamento sulla casa. I momenti di affetto sono ridotti a brevi flash nel buio di un tunnel che appare senza via d’uscita.

Il direttore artistico di Lustri Enzo Marangelo (a sinistra) con i due protagonisti (Francesco Guarino)
Polvere è una storia, ma potrebbe essere tante storie. La violenza arriva in forma solo accennata – uno schiaffo, uno strattone – e serve metterla in scena, per far capire come non sia un culmine, ma un nuovo inizio. Perché dopo ogni gesto sopra le righe arriva puntuale la telefonata dell’uomo-padrone, che crede che nulla sia successo e chiosa con il più serafico dei “Tanto facciamo l’amore e dimentichiamo tutto”. Fino a quando la scena non si ribalta, letteralmente, e qualcosa si accende nella mente della protagonista. Che cosa non è dato saperlo, perché si accendono le luci in sala e La Ruina, aguzzino psicologico, porta alla ribalta Cecilia Foti baciandole la mano e quasi scusandosi col pubblico per l’essersi calato nei panni del mostro.
Difficile addentrarsi in valutazioni meramente teatrali in uno spettacolo che scorre lento ma inesorabile, e la scelta registica appare tutt’altro che casuale. Fondamentale soffermarsi invece sulla potenza visiva ed emotiva della messa in scena. Un qualcosa che – nel profondo Sud che La Ruina ben conosce, ma non solo – può costituire un potente mezzo educativo ancor prima che artistico. Perché conoscere (e riconoscersi) attraverso il teatro, può aiutare più di qualsiasi speciale tv in prime time.
Francesco Guarino
@fraguarino