Peter Abrahams, narratore della dignità umana

Lo scrittore, nato nel 1919 a Vrededorp e attualmente residente in Giamaica, ha pubblicato numerosi testi spesso autobiografici il cui tema fondamentale è: non esiste disuguaglianza, ma solo il diritto di “diventare uomini”

di Adriano Ferrarato

Peter Abrahams

Peter Abrahams

«Iniziai a prendere il pane e a mangiarlo con la cotenna,  Andres li vide per primo e si scostò verso il mio lato della strada: erano tre bianchi che stavano passando, due della nostra stessa corporatura, un altro più robusto»: con queste poche parole uno dei più grandi scrittori sudafricani iniziava a descrivere il terribile incontro che da ragazzo fece con alcuni uomini bianchi, che poco più avanti nella lettura lo picchieranno. Erano infatti gli anni dell’Apartheid, il regime che non voleva affermare la parità dei diritti umani a tutti gli uomini a prescindere dal colore della pelle. E anche se di tempo da allora ne è passato, le parole di  Peter Abrahams non smettono mai di emozionare con il suo straordinario e crudo realismo.

Nato nel 1919 a Vrededorp, un ghetto di Johannesburg e figlio di un etiope, il giovane Peter cresce nei difficili anni della segregazione razziale in un continuo clima di disagio e frustrazione, accentuato dal fatto che le sue particolari origini meticcie (da parte della madre) gli impedivano una piena collocazione ed integrazione tra gli orgogliosi uomini neri. Deluso da una situazione così degenerante e senza possibilità di libertà e dignità, nel 1939 abbandonò il paese per tentare la fortuna in Inghilterra.

Fu una scelta assolutamente azzeccata. Quasi quindici anni dopo, era il 1952, Abrahms fece infatti ritorno in patria e le cose erano molto cambiate: essendo diventato un valido giornalista dell’ “Observer” a Londra (aveva intanto già pubblicato il suo primo romanzo, “Mine boy“), la visita alla sua terra natia era motivata dal fatto che vi avrebbe soggiornato come inviato speciale della famosa testata. Un’esperienza importante, raccontata in una raccolta di saggi, “Return to Goli” che vide luce nel 1954.

Ma è nell’anno successivo che per lo scrittore arriverà la svolta che condizionerà in modo definitivo la sua vita. Recatosi in Giamaica per scrivere una storia del paese (“Jamaica: an Island mosaic”, pubblicato nel 1957), l’autore rimase folgorato dalla bellezza e dalla società multietnica che gli si parò dinnanzi (un luogo dove tutti avevano uguale valore e non c’erano assolutamente differenziazioni etniche) al punto tale che decise di dimorarvi con la sua intera famiglia.

La copertina di "Tell freedom", in Italia "Dire libertà"

La copertina di "Tell freedom", in Italia "Dire libertà"

Rimanendo nella splendida isola e lavorando sempre come giornalista, arriveranno anche delle sue splendide produzioni letterarie: “Il sentiero del tuono” e soprattutto “Dire libertà. Memorie del Sudafrica”, nel 1987, una perfetta autobiografia della difficile esperienza vissuta in età giovanile e il cui protagonista Peter Lee (incarnazione dello stesso Abrahams) racconta della propria infanzia fino all’undicesimo anno di età. Libri importantissimi, il cui tema essenziale è sempre lo stesso: non esiste disuguaglianza, ma solo il diritto di diventare uomini”. Nel 1995 e nel 1997 sono stati poi pubblicati altri due romanzi: “L’idolo” e “Gli abissi dell’amore”.

Ormai ottantenne, Peter Abrahams vive ancora in Giamaica. Le sue opere sono state un formidabile contributo alla lotta contro la segregazione razziale e soprattutto ora rappresentano, in una società moderna come la nostra, un forte richiamo a difendere e tutelare i veri valori dell’individuo, perso nel caos di quel “villaggio globale” che troppo spesso non fa altro che spersonalizzarci sempre di più.

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