
Pasqua. Federalberghi lancia l’allarme: 85% degli italiani a casa

Un rapporto di Federalberghi sulle previsioni turistiche per Pasqua smentisce gli slogan del Governo sulla ripresa in atto
Roma – L’85,1% degli italiani ovvero circa 51 milioni di persone, non andranno in vacanza per le feste di Pasqua. L’analisi è esposta nell’ultimo rapporto di Federalberghi effettuato dall’Istituto ACS Marketing Solutions alla fine di marzo, usando il sistema C.A.T.I.: un campione di 3.001 italiani maggiorenni rappresentativo di oltre 50 milioni di persone.
Il risultato tasta il polso dei consumi nazionali e osserva che se la maggioranza della popolazione preferisce le festività casalinghe, chi partirà alloggerà in dimore di parenti, amici o seconde residenze. I dati sono più gravi di quelli dello scorso anno giacché, nel 2014, Pasqua e 25 aprile si sono concentrati in un unico periodo.
LA CRISI DELLE VACANZE – Da qui l’allarme: secondo Bernabò Bocca di Feralberghi la scelta degli italiani va intesa come un campanello d’allarme perché se l’85,1% non si sposta da casa ciò va attribuito a questioni economiche di crisi o di risparmio che coinvolge il 49,4% dei casi. A seguire: motivi familiari (21,9%) e di salute (17,1%). Dati riportati da Agi.it.
Il prossimo week end, quindi, sono previsti solo 9 milioni di italiani in viaggio per raggiungere le destinazioni di vacanza, ma di questi – continua Bernabò – il 50% ha scelto di risiedere in case private per ridurre i consumi. Niente albergo. Cosa che ulteriormente diminuisce la curva del turismo come braccio economico.
NESSUNA RIPRESA PER GLI ALBERGHI – Il quadro che ne uscirebbe – secondo il rapporto di Federalberghi – è molto distante dalle parole entusiastiche di ripresa di fiducia dei consumatori e delle aziende esposte dall’Esecutivo.
Per Bernabò è fondamentale che Governo e Parlamento prendano atto di uno stato di crisi che continua a perdurare e che esige «misure straordinarie quali un alleggerimento della pressione fiscale e degli altri costi che gravano sul sistema ricettivo ed una revisione degli incentivi per chi crea lavoro, in quanto il contratto a tutele crescenti può andar bene per le imprese che hanno una domanda ‘piatta’, ma è di fatto inapplicabile per il turismo interessato da notevoli fluttuazioni della domanda che impongono il ricorso principalmente a contratti a tempo determinato».
Chantal Cresta