
Da Parigi una lezione di Relatività, ma senza autocritica
Ancora brutalità a Parigi, ma nessuno si interroga davvero sulle nostre responsabilità occidentali e su come diamo pesi diversi alle vite umane
Parigi. L’Europa sta vivendo il 2015 cercando di mettere in pratica la Relatività generale, teoria che celebrerà il centenario il prossimo anno: non potendo sottolinearne l’importanza fisica, noi occidentali ne stiamo rivalutando il peso sociale, mostrando a tutto il mondo quanto relativa sia l’importanza delle vite umane in base a quali vanno perdute e per mano di chi si sono spente. Dobbiamo certamente condannare la violenza, ma dobbiamo anche riflettere su come a questa violenza ci rapportiamo.
PARIGI – I tragici e drammatici attentati di Parigi del 2015 – da Charlie Hebdò al folle venerdì 13 che stiamo ancora respirando – hanno generato ondate di giusta indignazione, corretta condanna e profonda commozione in tutta Europa e negli Stati Uniti. Il terrorismo è giunto tra le mura dei nostri vicini e ci siamo stretti intorno ai valori che questo terrorismo minaccia. Abbiamo compreso, almeno vagamente, cosa possa significare l’insicurezza nella propria vita e la minaccia di una morte insensata, violenza e ingiustificata. Pensiamo di sapere cosa significhi trovare nelle nostre vite la precarietà e la brutalità. Eppure non riconosciamo le stesse sensazioni negli occhi di chi subisce identiche – o peggiori – brutalità in altre parti del mondo, nemmeno quando bussano alla nostra porta per chiedere aiuto e rifugio.
ALTROVE – La Relatività entra qui in azione: c’è un peso specifico diverso tra le vittime francesi e quelle non europee; c’è un peso differente per gli attentati che colpiscono “l’Occidente” e per la morte che lo Stato islamico guida quotidianamente sopra gli abitanti dei territori in cui combatte. Davvero quello di Parigi è un “attacco a tutta l’umanità e ai valori che condividiamo” e il bombardamento di un ospedale in Afghanistan
LA DIFFERENZA – Non è iniquo che ci colpiscano di più le morti che sono vicine a noi; è ingiusto che diamo valore diverso alle morti. È profondamente ingiusto, anche, che, destati dalle morti vicine, non iniziamo a indignarci allo stesso modo per quelle distanti: eppure sono tutte vite umane spente dalla tragedia della guerra e del terrorismo, persone massacrate dallo stesso odio e sull’onda di un unico piano politico. Che differenza c’è tra un morto a Parigi e un morto a Kobane? Davvero essere massacrati nel cuore dell’Europa da fondamentalisti islamici è diverso da morire in Nigeria per mano di Boko Haram?
LE RESPONSABILITÀ – In questo enorme dramma di morte, sangue e dolore, le responsabilità occidentali sono evidenti: c’è chi confonde il radicalismo islamico con l’islam, c’è chi si preoccupa per i morti di Parigi ma gioisce per le vite che si spengono nel Mediterraneo a ogni barca di disperati in fuga che scompare, c’è chi ha costruito le fondamenta dello Stato islamico e ora vende armi per combatterlo, c’è chi alimenta l’odio in casa propria per guadagnare voti. C’è chi ha invaso paesi stranieri per decenni senza rendersi conto delle situazioni locali, finendo per radicalizzarle e renderle globali. C’è una enorme responsabilità “occidentale” in questo terrore che “arriva dall’Oriente” e, se non sapremo riconoscerla e ammetterla, ci costerà molte più vite di quante ne abbiamo già visto spegnersi.
IMPARIAMO – “L’unico modo in cui potremmo vivere in pace è se tutti ci preparassimo a perdonare. [...] Perché è sempre la stessa cosa: quando spari il primo colpo, non importa quanto ti senta nel giusto, non hai idea di chi stia per morire! Non ti rendi conto di quanti bambini urleranno e bruceranno, quanti cuori saranno spezzati. Quante vite saranno infrante! Quanto sangue dovrà essere versato prima che tutti facciano ciò che avrebbero dovuto fare fin dal principio: sedersi e parlare!”. Il dottor Basil Disco.
Andrea Bosio
@AndreaNickBosio