
Obama 2.0: la nuova agenda e le nuove sfide del Presidente
Roma – Barack Obama, a novembre rieletto presidente degli Stati Uniti, nel corso del suo secondo mandato dovrà fronteggiare non poche sfide sia sul fronte interno che su quello internazionale: la crisi economica ha reso la vita degli americani – e di chi li governa – molto difficile, mentre gli scenari internazionali cambiano a velocità vertiginosa e il ruolo degli Usa in questi cambiamenti non è mai stato così incerto.
Il primo punto in agenda è evitare il fiscal cliff – letteralmente precipizio fiscale – un assetto caratterizzato da aumento delle tasse e tagli alla spesa pubblica, assetto che in teoria dovrebbe servire a ridurre il deficit statunitense, ma che in pratica sprofonderebbe gli Usa di Obama in un vero e proprio baratro con il Pil del secondo trimestre 2013 in calo dell’1,3%, almeno secondo i dati del Congressional Budget Office. Per evitare il fiscal cliff, che scatterà automaticamente a gennaio dell’anno che sta per iniziare, è necessario che i democratici di Obama e i repubblicani trovino un accordo sulle modalità di riduzione del debito.
Ma i problemi economici che Obama dovrà risolvere vedono in scena un altro attore, la Cina. Infatti Pechino è il primo detentore estero del debito pubblico Usa, con titoli di Stato per 1145,5 miliardi di dollari, secondo quanto riportato dall’Us Department of Treasury. Ma, soprattutto, gli Usa accusano la Cina di svalutare artificialmente la propria valuta per ottenere un vantaggio – sleale – negli scambi con gli altri Paesi, vantaggio che causerebbe il surplus commerciale che però i cinesi imputano al divieto imposto dagli Usa di esportare prodotti di alta tecnologia. Anche l’Oceano Pacifico, il Mar Cinese Meridionale in particolare – dove si intersecano le rotte commerciali più lucrose del mondo – è motivo di scontro, perché gli Usa stanno cercando di contenere la sempre maggiore influenza cinese nella regione, motivo per cui sosterranno il Giappone in caso di conflitto per le isole Senkaku/Diayou. Altri punti dolenti nelle relazioni tra le due superpotenze sono lo spionaggio cibernetico – gli Usa accusano alcuni colossi cinesi di aver violato i database delle più importanti società di finanza, difesa, tecnologia e ricerca – i diritti umani e le terre rare, minerali necessari a produrre gli ultimi ritrovati tecnologici.
Anche l’Iran e il suo programma nucleare saranno una grande criticità per il rieletto Obama, anche a causa della posizione assunta da Israele. Restano da fronteggiare le “primavere” in Nord Africa e Medio Oriente, nonché il conflitto in Siria, che preoccupa Obama a causa della presenza di alcuni gruppi legati ad al Qaeda.

Obama e Ahmadinejad: il programma nucleare iraniano è una delle delicate questioni che il presidente Usa dovrà affrontare
Ed è sempre al Qaeda che spingerà gli Stati Uniti a concentrare la propria attenzione su alcune aree del Continente Nero: il Sahel – il territorio desertico che si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso e che comprende Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Senegal, Sudan, Eritrea – sta vivendo la sempre maggiore influenza di gruppi jihadisti. Di certo le azioni Usa passeranno sotto silenzio, soprattutto grazie ai droni e all’impegno delle truppe dell’Ecowas che eviteranno agli Usa una campagna via terra che sbilancerebbe pesantemente l’opinione pubblica.
Nel 2014 le truppe statunitensi lasceranno l’Afghanistan: arrivati nel 2001 ufficialmente per debellare il terrorismo di matrice islamica, gli Stati Uniti in realtà hanno sempre mirato a creare nell’area un governo ad hoc che fosse il suo avamposto sicuro nella regione. In realtà i risultati sono miseri: il governo di Karzai presenta grosse sacche di corruzione, la sicurezza non è stata ripristinata, i rapporti con il Pakistan sono disastrosi e si teme l’effetto Iraq, cioè una recrudescenza delle violenze.
Sull’agenda anche i delicati rapporti con la Russia le cui sorti dipendono dalla questione dello scudo e dalla direzione che Obama prenderà in merito.
Un grosso punto interrogativo grava anche sul Centro e Sudamerica che pure influenzano molto le politiche statunitensi per l’immigrazione – ovviamente per quanto riguarda il Messico – che continuano a essere motivo di aspri dibattiti al Congresso, nonché per la lotta al narcotraffico. Il solo Paese dell’area a intrattenere rapporti con Obama è il Brasile di Dilma Rousseff, ma gli Usa sono poco inclini ad avviare un vero dialogo con Brasilia nonostante questa rappresenti la più forte economia del continente.
Per quanto riguarda la politica estera Obama dovrà anche stabilire le linee d’azione da perseguire in Corea del Nord – le prove di forza del regime di Pyongyang mettono a rischio i rapporti con la Corea del Sud e l’equilibrio della regione, come ha dichiarato il portavoce del National Security Council statunitense Tommy Vietor: «Un atto altamente provocatorio che minaccia la stabilità regionale, viola le risoluzioni Onu 1718 e 1874, contravviene gli obblighi internazionali della Corea del Nord e mina il regime di non proliferazione» – in merito al conflitto israelo-palestinese, alla situazione di Cuba con il declino – e la probabile (?) vicina morte di Fidel Castro – e alla questione sudanese, soprattutto in seguito all’avvicinamento del Paese all’Onu.
Ambiente ed energia sono temi ancora più scottanti per l’amministrazione Obama – ma anche per gran parte dell’Occidente – in cui si intersecano relazioni e interessi internazionali di difficile gestione: difficile ipotizzare le scelte che gli Usa decideranno di fare.
Dopo la cerimonia di insediamento – che si terrà il 21 gennaio – Obama dovrà rimboccarsi le maniche, cercare di traghettare gli Usa fuori dalla crisi e riconquistare un ruolo di leadership in un panorama internazionale che vede gli Stati Uniti sempre più opachi.
Francesca Penza