
Il buio tra le pieghe della memoria. ‘Non c’ero mai stato’ di Vladimiro Bottone
'Non c'ero mai stato', il nuovo romanzo di Vladimiro Bottone, indaga nell'animo umano per prepararlo alla lotta contro un'oscurità esistenziale altrimenti inestirpabile
Una storia (e più storie) di sofferenza e redenzione, silenzi e tormenti interiori, ma anche di aperture, di ossigeno vitale per l’inizio concreto di una ricerca del sé che trascende le barriere della pagina scritta per addentrarsi nel mondo delle percezioni individuali e – proprio per questo – universali. Il tutto annidato sotto le imprescindibili sembianze di un giallo-noir psicologico al servizio di una narrazione che tende la mano all’approfondimento spiritualista, di pari passo con un concetto di struttura che parte dal genere per farsi elevazione ideologica e sentimentale, personale e inconsciamente collettiva, autobiografica ma anche intrisa di oggettività condivisibile.
Sono le basi portanti su cui si innalza la struttura emotiva di Non c’ero mai stato, il nuovo romanzo di Vladimiro Bottone (edito da Neri Pozza) che ruota interamente sull’incontro/scontro tra due personalità opposte eppure complementari, anzi l’una di fondamentale importanza per far sì che l’altra si offra al mondo per quello che è stata e che realmente nasconde di essere, anche e soprattutto a sé stessa.
Ernesto Aloja è una figura di rilievo nel campo dell’editoria e ha trascorso quasi tutta la vita a correggere romanzi di altri. Da molto tempo ha rinunciato a scriverne uno di suo pugno per tutta una serie di motivi, tra cui diversi non facilmente esplicabili. Eppure Ernesto ne avrebbe di cose da raccontare, denso com’è di esperienze traumatiche che però, in seguito al rientro definitivo nella sua Napoli, preferisce assopire e nascondere sotto l’effetto di psicofarmaci, servendosi anche della frequentazione di due amanti docili e silenziose. Ma quando gli piomba tra le mani un dattiloscritto in particolare, la sua quotidianità si spezza improvvisamente per lasciare ampio spazio a dubbi e inquietudini ma anche a un fascino che finisce per travolgerlo. Si tratta chiaramente di un romanzo autobiografico che dispiega una vastità di esperienze dolorose, promiscue e confusionarie nelle quali Ernesto non può non immedesimarsi, tanta è l’empatia generata da quelle pagine. Così vuole a tutti i costi incontrare l’autrice, Lena Di Nardo, trentenne dal carattere molto complesso e dall’esistenza precaria e senza prospettive proprio come la maggior parte degli appartenenti alla sua generazione. Il loro incontro sfocia in un apprendistato reciproco grazie al quale prende piede un fluire continuo di mondi che si scontrano e si attorcigliano l’uno sull’altro, deflagrando in una tempesta di esperienze fisiche ed emotive che riporteranno Ernesto a fare definitivamente i conti con il suo passato. Strani episodi e figure misteriose avvolgono il rapporto tra i due, fino a porre Ernesto dinanzi alla condizione estrema di una discesa agli inferi dalla quale, di lì in poi, non potrà più esimersi.
La scrittura possente di Bottone fa di Non c’ero mai stato un flusso continuo di senzazioni e concetti esistenziali abilmente messi in tavola dal genere per trascinare il lettore in una spirale infinita di trame e sottotrame che lo conducono allo stesso livello percettivo dei personaggi principali. Attraverso il volto tumefatto di una Napoli ouscura, inquieta e disturbante, Bottone traccia un sentiero esistenziale invisibile agli occhi di chi non vuole o non sa vedere, per porre in essere uno stile narrativo che quasi si prende gioco delle strutture prescelte allo scopo di sfociare nell’eternità delle intenzioni interiorizzanti di personaggi che dalla carta evadono verso orizzonti di senso ultimo, estremo, perturbante.
Forte di un linguaggio scorrevole ma, al contempo, denso di riferimenti e richiami psicoanalitici, Bottone traccia il profilo di uno scontro titanico tra ordinarietà schematica e travalicamento dei limiti umani, portando tutto e tutti alle soglie di uno specchio universale che riflette solo il reale tralasciando la forma, la confezione, per elevare all’Olimpo dei sensi il vero fulcro di quello che risulta essere una sorta di editing delle emozioni, fuori da ogni logica schematica, fuori da ogni disciplina delle intenzioni.
Il rimosso torna a chiedere il conto in maniera tutt’altro che convenzionale, in un romanzo come Non c’ero mai stato, e lo fa mettendo nero su bianco tutta la potenza di fuoco delle idee al servizio di un conferimento di senso che non è mai solo occultamento strategico in funzione di una rivelazione finale, ma costruzione – tassello per tassello – di un campo minato di insidie emotive da estirpare per riuscire a convivere con il buio più sinistro e accecante che dimora tra le pieghe della memoria.
Stefano Gallone
@SteGallone