
No Berlusconi Day, un fiume viola ha sommerso la Capitale
Centinaia di migliaia i partecipanti scesi in piazza al grido “Dimettiti e fatti processare”
di Michele Ferrelli
Ore 14.30, piazza Esedra è stracolma. Tutto è pronto per l’avvio della marcia che attraverserà il centro capitolino. Un tappeto viola di magliette, cappellini e sciarpe inizia a muoversi intonando con accenti di tutte le latitudini cori all’indirizzo del premier.
Di fronte alla vicina basilica di Santa Maria degli Angeli ci sono i pezzi da novanta dell’opposizione parlamentare. Si intravede un gongolante Antonio di Pietro, accerchiato dai suoi fedelissimi. A pochi metri di distanza la delegazione piddina, formata per lo più dai colonnelli dell’entourage franceschiniano e mariniano. Nella via laterale che porta verso piazza dei Cinquecento, uno stretto budello che a fatica contiene la fiumana di gente, sono i vessilli di Rifondazione a dominare incontrastati, in un curioso rimbalzo cromatico che accosta il viola, colore dell’autodeterminazione apartitica, al rosso, in un binomio davvero singolare.
Fanno da sottofondo musicale i chiassosi e ritmati sound system dei centri sociali, pompati senza soluzione di continuità dagli altoparlanti dei camion che si fanno largo lentamente tra la folla. Non mancano le bandiere con gabbiano svolazzante dell’Italia dei Valori che garriscono al vento e sovrastano numericamente quelle del Pd, sparute macchioline che si intravedono qua e là nel corteo.
Ci sono uomini e donne di tutte le età, mamme con bambini, studenti delle superiori, giovani universitari, “dottori” disoccupati e stagisti perpetui. Chi con la faccia striata di viola, chi con pulloverino d’ordinanza, chi ancora con scarpetta color lilla acquistata last minute dal “marocchino” delle vicina stazione Termini, quello stesso che nelle giornate di pioggia appena cade la prima goccia estrae da non si sa dove un campionario sterminato di ombrelli di ogni colore, dimensione e fattura, manco fosse Mary Poppins. C’è anche un gruppetto di nove persone, ognuna delle quali sorregge una lettera dell’alfabeto, a comporre il caloroso invito al premier “Dimettiti”. Scritta gialla che giganteggia sul lungo serpentone, nel frattempo snodatosi per fare ingresso in via Cavour e proseguire per il rettilineo di via Merulana.
Un crocchio di gente procede alzando al cielo l’agenda rossa simbolo della lotta alla mafia del giudice Borsellino, e da una finestra si affacciano due attempate signore che rispondono sventolando una copia de “Il Fatto Quotidiano”, edizione del giorno, in cui campeggia in prima pagina “Adesso basta, la legge è uguale per tutti”. E poi ci sono i cartelli. Tanti, variegati, di diverse forme, colori e dimensioni. “Iddu pensa solo a iddu”, “ Dove vuoi come vuoi basta che te ne vai”, “Era meglio Wanna Marchi”, sono solo alcuni esempi. Ce n’è per tutti i gusti, anche per i palati più sopraffini. Gli striscioni vengono letti, fotografati e commentati. Viene avvistato il vignettista Vauro e in molti gli si fanno incontro, in un turbinio di flash, strette di mano e pacche sulle spalle. Sul marciapiede, in una posizione un po’ defilata, si intravede Bertinotti incalzato senza tregua da una giovane riccioluta formato oversize che lo rimbrotta per l’antico affare Turigliatto. Lui reagisce, si infervora un po’, cerca di spiegare alquanto spazientito che quella è stata solo la punta dell’iceberg. Quando la “molestatrice” finalmente s’allontana, lui tira un sospiro di sollievo, si accende un sigaro e riprende il cammino.
Alle quattro e mezza del pomeriggio l’onda viola giunge finalmente in piazza San Giovanni e nel breve volgere di qualche istante la riempie, debordando nelle strade vicine. C’è il palco con a fianco un maxi schermo e tutto intorno è un brulicare di stendardi, gazebo, palloncini, striscioni. Berlusconi che emerge da uno schermo di un televisore dal design un po’ demodè con le mani atteggiate a mimare l’atto di sparare con un fucile, è l’icona scelta dagli organizzatori dell’evento, in memoria della tragicamente mitica conferenza congiunta con Putin.
Quando una giornalista finlandese dà il “La” alla sequenza di interventi parlando di come viene percepita l’Italia all’estero e nel suo Paese, ci sono ancora persone che sfilano e ogni tanto si fermano a saltare al grido “Chi non salta Berlusconi è”. Ma è con il videomessaggio di Giorgio Bocca sulla “antidemocraticità” di buona parte degli italiani che “è stata fascista e lo è ancora” che gli applausi cominciano a farsi via via sempre più scroscianti, in un crescendo rossiniano che culmina quando è la volta di Ulderico Pesce. L’attore parla la lingua dell’immigrazione, dello schiavismo moderno, dell’illegalità diffusa nei cantieri e nelle piantagioni, urlando “Ma dove cazzo è la Chiesa, dove cazzo è il sindacato, dov’è la sinistra, dov’è Bersani! Noi siamo qui in 500.000 a testimoniare che c’è ancora cuore, emozione, lacrime, riso, gioia”. Poi il tuono “Sei tu dietro le stragi, fai vergogna in tutto il mondooo!!”. Tensione e esplosione liberatoria.
Segue poi un video sulla militarizzazione delle tendopoli abruzzesi, dove uomini in divisa verde impediscono il volantinaggio e le riunioni spontanee; l’intento del regista Alberto Puliafito è quello di “denunciare l’operazione tutta mediatica fatta dall’esecutivo e l’inadeguatezza del Piano C.A.S.E.”, e parallelamente stigmatizzare il “modello berlusconiano dell’apparenza”. Dalle immagini alle parole con Moni Ovadia e le sue considerazioni sul mutamento del linguaggio che non ci vuole più cittadini ma utenti, non più lavoratori ma risorse umane, in un “pervertimento della forma che veicola una sottocultura bottegaia”. Dalle parole agli odori con un Salvatore Borsellino che dice di sentirsi “ubriaco e inebriato da questo profumo di libertà” e ci parla del fratello Paolo, degli agenti della scorta saltati in aria con lui, delle celebrazioni ipocrite in via D’Amelio e di Schifani che “quando si parla dei suoi trascorsi societari con i mafiosi si trincera dietro il vilipendio alle istituzioni, ma il vero vilipendio è che lui occupi la seconda carica dello Stato”. Poi è la volta di un blogger e dell’inadeguatezza della televisione rispetto a Internet, partecipazione all’evento docet, vero “anticorpo contro una struttura sociale gerarchica, autoritaria e verticale”.
Non potevano certo mancare Dario Fo e Franca Rame, con lui che invita le nuove generazioni a non andare via, “posate i bagagli a terra e lottate per il vostro futuro” e lei che riflette sulla donna catodica, tutta “quarti di chiappe, tette al vento e orge da trivio”, secondo il diktat maschilista che le preferisce come dei lucidi soprammobili senza corteccia cerebrale. E nemmeno una testimonianza dei dipendenti di Eutelia, da quattro mesi senza stipendio, simbolo di un capitalismo straccione che “privatizza i profitti e socializza le perdite”. Quasi di prammatica il saluto di Fiorella Mannoia, una che se c’è da parlare di politica non si tira mai indietro, perché vorrebbe vivere in un posto “normale, che investa sui giovani”. Il buio scende e i manifestanti, intabarrati in giacconi e scossi da un freddo umido che inizia a farsi sentire con l’approssimarsi dell’ora di cena, scemano lentamente verso le stazioni della metro. C’è qualcuno che rimane per il concerto, ma la maggioranza prende piano piano la via di casa sulle note di “Viva L’Italia” intonata da Roberto Vecchioni. L’impegno è quello a “non perdersi di vista”, vecchio motto girotondino.
Inizia il balletto delle cifre, con chi dice 1 milione, chi mezzo e chi, come la solita Questura, meno di 100.000. Il risultato finale è obiettivamente notevole, al di là delle più ottimistiche previsioni. Dalla rete ai sampietrini della piazza reale, senza figure carismatiche né leader pronti a metterci il cappello sopra. Tutto nato spontaneamente e artigianalmente da un gruppo di persone tra loro sconosciute e unite dalle prodigiose alchimie dei social network. Il tramonto del Caimano sembra vicino, così come fondato è il timore che, a “nemico abbattuto”, le carte si spariglino e si apra una nuova stagione “inciuciona” delle geometrie variabili.
Che potrebbe trovare impreparati i nostrani “Capitan Tentenna” del PD. O preparatissimi?
che articolo lungo!