Napolitano e la solidarietà ai magistrati. Ma chi prende in giro?

Napolitano

Giorgio Napolitano (termometropolitico.it)

Nel suo ennesimo sproloquio da capo di Governo di fatto, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oltre a dettare il programma che l’esecutivo dovrà seguire, ha detto: «Le insidie vengono da molte parti: vengono nel modo più brutale dalla criminalità mafiosa, dalle sue minacce ai magistrati e alla convivenza civile», «Ai servitori della legge impegnati con coraggio su quel fronte, va la nostra piena, limpida, concreta solidarietà». Si dirà, che c’è di strano se un capo di Stato esprime solidarietà ai magistrati minacciati? Peccato che queste parole dette da Napolitano fanno solo ridere. O piangere. Perché i fatti non corrispondo alle belle parole.

QUESTA TESTIMONIANZA NON S’HA DA FARE - Anziché chiaccherare a vanvera, infatti, Napolitano potrebbe dimostrare la sua solidarietà aiutando i magistrati nel loro lavoro. Per esempio nel processo in corso a Palermo sulla trattativa fra lo Stato e la mafia avvenuta nel biennio 1992-1993. Nel maggio scorso i pm hanno citato come teste al processo proprio Giorgio Napolitano, che in quel periodo (dal 3 giugno 1992 al 14 aprile 1994) ricoprì l’incarico di presidente della Camera. Il 21 maggio il presidente della Corte d’assise di Palermo Alfredo Montalto rese nota l’ammissibilità della deposizione del capo dello Stato, ma non riguardo alle telefonate con Nicola Mancino, come era stato richiesto dai legali di Salvatore Borsellino. Il 26 settembre il pm Nino Di Matteo ribadì la necessità di citare a deporre come teste il presidente della Repubblica sui contenuti di una lettera che il suo consulente giuridico Loris D’Ambrosio inviò il 18 giugno del 2012. Il 17 ottobre la Corte d’assise di Palermo ammise a deporre Napolitano «nei soli limiti delle conoscenze del teste che potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali e dalla riservatezza». Inizialmente il capo dello Stato sembrò disposto a collaborare, tant’è che in un comunicato del 31 ottobre il Quirinale rese noto che «Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha indirizzato una lettera al Presidente della Corte d’Assise di Palermo con la quale ha sottolineato che sarebbe ben lieto di dare, ove ne fosse in grado, un utile contributo all’accertamento della verità processuale». Il 7 novembre, però, la Corte fece sapere di non avere ancora ricevuto la lettera. Poi Napolitano cambiò improvvisamente idea: «Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire». Perché Napolitano non vuole aiutare i magistrati di Palermo – a cui poi dà ipocritamente la propria solidarietà – raccontando quello che sa riguardo a quel terribile biennio che lui visse da protagonista?

Napolitano

Nino Di Matteo (fanpage.it)

LA TELEFONATA MISTERIOSA Ma si comportò in maniera addirittura peggiore in un’altra occasione che lo vide sempre contrapposto ai magistrati. Si tratta del famoso caso delle telefonate con Nicola Mancino. L’ex ministro dell’Interno è attualmente accusato di falsa testimonianza proprio nell’ambito del processo Stato-mafia. Secondo l’accusa, avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra all’inizio degli anni novanta, cioè all’epoca della trattativa. Per questo il telefono di Mancino fu intercettato. E proprio in quel periodo, ci furono dei contatti tra lui e Napolitano. Il 16 luglio dell’anno scorso Napolitano sollevò di fronte alla Corte Costituzionale il conflitto d’attribuzione nei confronti della Procura di Palermo e il 4 dicembre la Corte decise che le intercettazioni sarebbero andate distrutte. Il 22 aprile 2013, dopo due giorni dalla rielezione di Napolitano stesso, il gip del Tribunale di Palermo Riccardo Ricciardi distrusse materialmente tali intercettazioni.

LA CHIACCHERATA CON D’AMBROSIO - È stato pubblicato, invece, il contenuto di una telefonata fra lo stesso Mancino e Loris D’Ambrosio, consigliere di Napolitano deceduto nel luglio del 2012. Mancino se la prendeva con il pm Di Matteo: «E questo Di Matteo vuole…vuole interrogarmi…mi ha interrogato…nel confronto con Martelli…mi ha interrogato anche quando sono venuti i due Procuratori di Palermo e Caltanisetta», «Perché era presente…però mi sembrava piuttosto attento alle cose che io dicessi…ma senza diciamo scoprirsi come uno…», «No, ma è un guaio è un guaio…». E D’Ambrosio (cioè il consigliere del Presidente della Repubblica, la più alta carica dello Stato, è giusto sottolinearlo) conferma: «è un guaio». Sorge il dubbio che anche con Napolitano, l’ex ministro Mancino abbia sparlato dei magistrati. E magari il capo di Stato gli dava anche ragione. Sarebbe bastato poco a Napolitano per smentire tale ipotesi: poteva rendere pubblica l’intercettazione o farla distruggere ma rivelare lui stesso l’argomento di conversazione. Invece niente. Evidentemente ha qualcosa da temere. Se così non è, la prossima volta prima di esprimere la propria solidarietà ai magistrati minacciati come Nino Di Matteo, pensasse a fare chiarezza su queste vicende. Gli italiani tutti, in particolare chi ha passato la sua vita a combattere la mafia, gliene sarebbero grati.

Giacomo Cangi

@GiacomoCangi

foto: lapennadellacoscienza.it; termometropolitico.it; fanpage.it

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