Milano. Alfano invia i militari perché la città ‘non è insicura’

Roma – Occorrerebbe ricordare al ministro dell’Interno Angelino Alfano che il non dire potrebbe essere scelta migliore che affannarsi a dire niente. Persino in campagna elettorale.

Va ascoltata la conferenza stampa del povero Alfano a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, con il sindaco Giuseppe Sala e il prefetto Alessandro Marangoni impegnati in un vertice sulla sicurezza della città dopo l’ennesimo caso di violenza che ha coinvolto un gruppo di filippini, forse membri di una gang, e un domenicano ucciso, forse membro di una gang rivale, esploso nella centralissima Piazzale Loreto, due passi dal Palazzo della Regione Lombardia.

SENSI DI NONSENSO – Dice il ministro: dopo la fine del Giubileo, «a Milano manderemo altri 150 militari» i quali affiancheranno le 8.041 unità delle forze dell’ordine già esistenti a Milano e provincia. Eccellenti, degni, «vertici di sicurezza da numeri uno». Allora i militari richiesti dal sindaco Sala a che servono?

Insiste Alfano: «Milano ha già fatto la sua parte». Stop al numero di immigrati a Milano a meno di altre emergenze e in attesa dell’inverno. Perché, si sa, gli sbarchi quando fa brutto diminuiscono. Quindi non c’è nessuno stop.

Ancora: Milano ha un problema di sicurezza, ma non è insicura. Lo dicono i dati. Quindi a che serve un vertice sulla sicurezza?

E via così. Tra nonsensi e insensatezze laddove i problemi che ci sono si negano, ma anche no; si costruiscono connessioni logiche, ma anche illogiche. Si provi a prendere le fila di un discorso che serve a calmare i nervi tesi della comunità milanese a partire da quelli del sindaco.

Milano non è insicura, è solo carente di sicurezza a causa di una malagestione della questione immigrazione su pianta nazionale. Perciò non si cambia la gestione nazionale, la si persevera scaricandone le ripercussioni altrove. Forse. Perché lo stop del ministro all’arrivo di clandestini in città e dintorni è condizionato da questioni stagionali e dalla voglia di imbarcarsi degli scafisti posto che l’emergenza è sempre un tema pronto per ribaltare qualsiasi tavolo in qualsiasi momento. Tutto chiaro.

NELLE MANI DEL GOVERNO – Il quadro che traspare in controluce è desolante. Il sindaco è alle prese con un’allarme di criminalità straniera che non può confessare perché alla testa di una giunta di sinistra che sul tema immigrazione è da sempre altro che accomodante. Pure volesse o potesse confessarla, non è in grado di trattarla perché quel che servirebbe – rimpatri immediati, blocchi navali ai confini con il Nord Africa, procedure di intervento delle forze dell’ordine incisive e non solo persuasive anche con l’uso delle armi, una giustizia più celere – non sono prerogative di un amministratore locale ma del Governo.

Dal canto suo, quest’ultimo non ha intenzione di modificare di una virgola l’assetto esistente perché: a) all’immigrazione è legato il beneplacido dell’Ue in materia di bilancio nazionale; b) all’immigrazione è legata una buona fetta di attività produttive, meglio se illegali o in nero, che sollevano indirettamente i dati di un Pil asfittico e immobile; c) una parte di opinione pubblica radical non apprezzerebbe i tentativi di porre un freno allo sbarco selvaggio che si vuole fare passare per solidarietà. Tanto più in attesa del voto referendario.

Quindi i militari non servono, ma si mandano. Lo stop all’accoglienza entra in vigore, ma non lo si può fare. Milano sta diventando il centro di gang di quartiere a partire dalla quella salvadoregna e multietnica Barrio 18 fino alla novità assoluta: i filippini - come sostiene il professore Fabio Armao, Scienze Politiche all’Università di Torino, intervistato da Agi -, ma non lo si deve dichiarare. Si rischia persino l’effetto ‘contagio‘: le gang si attrezzano per difendersi moltiplicando in numero e violenza, ma anche questo va glissato. Si chiacchiera molto, ma guai a definire le cose per quello che sono. Meglio non dire. Appunto.

Chantal Cresta

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