‘Look closer’. I Phantomatica e l’invito a guardare oltre

Esce 'Look closer', album d'esordio dei marchigiani Phantomatica. Tra andirivieni di generi e stili, emerge una ricerca di identità che fa dell'indecifrabilità il suo marchio di fabbrica

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Esistono diverse modalità secondo le quali porre in essere intenzioni artistiche legate a un’impostazione strutturale che non vuole restare con le mani in mano a compiacersi di eventuali gradimenti occasionali. Molti nuovi agglomerati sonici nostrani preferiscono scrutare tutti i vari strati che compongono il reale circostante per usare la musica, certo, come mezzo attrattore di sensazioni ed emozioni ma anche – per fortuna – come faro illuminante verso orizzonti che lasciano intravedere la reale essenza delle cose. Queste e altre sono le percezioni ideologiche che emergono da un primo ascolto di Look closer, album d’esordio dei marchigiani Phantomatica.

PER UN’IDENTITÀ NON IDENTIFICABILE – Nel loro interessante primo lavoro sulla lunga durata – dal titolo, ovviamente, tutt’altro che casuale – Daniele Tipo (voce e chitarra), Stefano Sabbatini (chitarra), Marco Grilli (basso) e Ivan Bufalari (batteria), esprimono a chiare lettere tutta una vasta serie di concetti che ruotano, sostanzialmente, attorno ad un nucleo ben distinguibile – in suoni e parole – in qualità di ricerca sostanziale di un’identità ben precisa anche se composta da svariate sfaccettature sia esteticamente sonore che eticamente orientate verso una miscellanea mai fine a se stessa, anzi necessaria per comprendere sia le necessarie derivazioni che le ipotetiche vie di fuga da una qualsivoglia radicalizzazione stilistica.

In un album come Look closer, infatti, i Phantomatica optano per un inarrestabile andirivieni di generi e stili allo scopo, sì, di ricercare una propria personalissima identità, ma si tratta di un’identità comunque molto sfaccettata e, pertanto, non immediatamente afferrabile se non come tale. C’è una considerevole multietnicità derivativa di fondo che guida il quartetto marchigiano verso una definizione di senso che mette tanta carne al fuoco ma, al contempo, punta a costruire sapori inediti o quantomeno capaci di guardare oltre il limite delle proprie stesse capacità pur rientrando in una circoscrizione molto ben fruibile e godibili in tutte le possibili direttrici.

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TRA ENERGIA E MELODIA – Di riferimenti, in Look closer come nelle radici dei Phantomatica, si diceva, ce ne sono molti ma sono tutti rivolti ad una equilibratissima distribuzione di sonorità affidata a dieci tasselli abilitati a mettere in tavola un corposo coacervo di sensazioni introspettive e melodiche che viaggiano sulla scia di una base portante puramente rock ma – ed è questo il bello – sufficientemente coscienziosa da non cadere nel futile e consueto tranello dell’attrazione fascinosa del genere. Frequenti, in Look closer, sono, ad esempio, le escursioni verso territori psichedelici con aperture a diramazioni melodiche che, però, non perdono mai quel necessario fattore di compattezza compositiva, intimismo lirico e – spesso e volentieri – voltaggio da sincera e pura urgenza espressiva.

CONTRO OGNI CATALOGAZIONE – Proprio questo concetto di urgenza, legato con nodo scorsoio a una sperimentazione intesa come commistione di generi votata alla ricerca di uno stile, se non unico, almeno interessante (e non poco), contribuisce apertamente a fare di Look closer – per quanto in cerca di un’identitàun sano manifesto di fuga da ogni tentativo di identificazione (pratica che, per come vanno le cose in questo preciso istante, ci si affanna così tanto ad espletare nella più atrocemente asettica e spersonalizzante delle realtà possibili).

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E proprio per questi motivi l’ascolto delle idee poste in essere da una band come quella dei Phantomatica spinge ad ammirare selezioni sonore ora destinate ad impostazioni alternative intrise di grunge (Drop it) prevalentemente nelle ritmiche (indebitamente affiorano in memoria alcuni frangenti di Alice In Chains o ipotetici spunti sludge, ma solo nelle intenzioni), ora riservate a incursioni elettroniche analogiche quanto non proprio glam, ora a pure ed efficaci scelte melodiche (Impossible possibility). Non mancano mai, dunque, aperture ammirevolmente ariose e ricche di brio emotivo (Revelation), come mai assente è una grande e precisa cura per gli arrangiamenti che spesso si espone anche ad ammiccamenti britpop e orizzonti wave saggiamente fusi con spigolosità punk rock (Bittersweet pain, Bittersweet pleasure).

Una imprescindibile impostazione anche cantautorale si immerge in acque dark-wave di stampo ’80 (Sailor), mentre una oscura ma vitale fratellanza puramente dark conduce per mano verso cime innevate di nero (Nosedive) e graniticità rozzamente rock (Mr. Nobody) per poi chiudere il cerchio con rientrando in recinti grunge ma senza più freni inibitori in termini di crossover da futura sperimentazione psichedelica (I am not the only one).

In qualità di esordio sulla lunga durata – prima c’era l’ep, pure notevole, In musica veritas del 2014 – quello racchiuso in Look closer è senza dubbio un valido tentativo di iniziazione verso mete contenutistiche ben inscritte in forme molto stratificate ma, in questo, complete. Vediamo cosa riserverà il prossimo casello.

Voto: 7,5

 

Stefano Gallone
@SteGallone

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