
L’idea di progresso dei Siranda: un passo indietro per due in avanti
Dall’11 gennaio è in circolo online ‘La scatola del male’, il primo lp dei Siranda. Tra rock e dintorni, emerge una "non" nuova idea di progresso sonoro
Procedendo di bellezza in bellezza nel contorto limbo delle produzioni underground italiane, imbattersi in artisti non solo emergenti ma, per di più, non dotati di supporto discografico può risultare ancora più interessante qualora si consideri l’assenza di un’etichetta come fattore principale di assoluta e concreta libertà espressiva, quindi garanzia di controllo totale delle proprie decisioni e, soprattutto, sincerità. Il grado di interesse verso artisti di questo calibro aumenta ulteriormente se a richiamare l’attenzione è una band come quella dei siciliani Siranda, da noi già apprezzati e meritatamente lodati sulle frequenze digitali di Wake Up Radio. Ebbene, mentre in quel frangente ci limitavamo a promuovere i loro primissimi lavori in studio, ovvero gli ep La scatola (2012) e Dorma il male (2015), quest’oggi siamo più che lieti di passare in rassegna ciò che più desideravamo ricevere in valutazione, vale a dire il loro primo long playing ufficiale La scatola del male, uscito in formato digitale su tutti i canali di diffusione più noti e utilizzati.
UN CONCETTO DI PROGRESSO – Si noterà una certa padronanza e continuità concettuale proprio fra questi tre titoli, di cui l’ultimo – non a caso – fa da cornice ad un lavoro estremamente certosino ma limpido nella genuinità delle proposte sonore e liriche messe in tavola. Proprio lo sviluppo e il perfezionamento dei contenuti insiti nei primi due piccoli ma sostanziosi esperimenti in studio conduce a un album più che degno della pregiatissima fattura rock progressiva che distingue i Siranda da molti altri colleghi anche non coetanei. Ma cosa vuol dire, in sostanza, fare “progressive music” nel 2016? Può voler dire tante cose, a seconda di come si approccia il tema (tecnica, contenuto, concezione dell’arrangiamento o quanto altro). King Crimson, Jethro Tull, Yes, Van Der Graaf Generator e molti altri colleghi contemporanei (anche italiani, eccome) presero l’idea di rock sviluppata tra i ’60 e i primi ‘70 per innestarvi un’impostazione classica simil-barocca; Steven Wilson rese progressive i suoi Porcupine Tree prendendo l’idea di struttura rock e miscelandola sapientemente con ambient music, prima, e cenni di hard rock/metal, poi. Tutti esempi, appunto, di progresso creativo giunto alle estreme conseguenze soprattutto in settori meno accessibili per il comune intendere il fatto sonoro (vedi certe ramificazioni estreme del metal o, all’altro capo del diametro, molti esperimenti computerizzati). E oggi? Dove si va ora che tutto sembra esser stato setacciato, scomposto, ricomposto e digerito a dismisura?
UN PASSO INDIETRO E DUE IN AVANTI – Una risposta può trovarsi proprio nel corpo nell’idea proposta dai Siranda: oltre a miscelare con grande saggezza generi differenti ma contigui da un punto di vista strutturale, i Siranda puntano a sfruttare quella “progressività” insita nell’azzardare complessità strumentali in architetture sonore di una certa orecchiabilità. In un’epoca di totale appiattimento sonoro, ideologico e contenutistico da network, una soluzione così coraggiosa e intelligente – specie se diffusa unicamente sui mezzi di comunicazione più di massa del momento – può rappresentare un tentativo di risveglio del gusto e dell’interesse per le cose non conformi alla regola. Insomma, ripartire da poco (una semplice melodia) per sviluppare idee su idee in maniera graduale, riuscendo, se coadiuvati da appositi supporti, ad abituare nuovamente l’orecchio e il gusto della comune opinione a qualcosa di diverso, di nuovamente affascinante, di “oltre”.
La melodia – prevalentemente derivante dalla passione della band per un rock italiano di stampo, sì, commercialmente consolidato ma storicamente associabile a tentativi di differenziazione produttiva (vedi i Litfiba da Pirata a Spirito, i C.S.I di Ko de mondo ma anche i Diaframma post wave) – diventa trampolino di lancio per esperimenti al vetriolo (in alcuni frangenti viene in mente addirittura ciò che i Dream Theater fecero del rock progressivo di stampo ’70). Quello che arriva all’orecchio è un sound solo apparentemente abbordabile perché comprensibile a fondo unicamente in presenza di una predisposizione all’ascolto ormai rara e, proprio per questo, da recuperare qualora si voglia salvare il senso stesso dell’ascoltare e fare musica.
IL DISCO – Con La scatola del male, i Siranda dimostrano di padroneggiare una capacità di contaminazione di generi e stili assolutamente stupefacente e perfettamente a suo agio nel mettere a disposizione del corpus compositivo una esponenziale cultura e preparazione tecnica individuale tutt’altro che di poco conto. Si tratta di elementi che fanno di William Voi (voce), Salvo Zappulla (chitarra), Davide Calderone (chitarra), Sergio Tarascio (basso) e Fabiano Arisco (batteria) un agglomerato di assoluto rispetto e, in tutta sincerità, meritevole di trovarsi altrove rispetto al confine territoriale che, fino ad ora, è stato messo loro a disposizione.
Se ci si lascia prendere per mano da brani puramente rock con impostazione hard come Il tuo veleno, L’orchestra delle idee o Apparentemente, si matura la giusta predisposizione che conduce al pathos ritmico dei potenti riff dispari di Ombre o della strumentale Silenzio blu (in cui la compresenza organistica a tratti ricorda le migliori elucubrazioni hard blues dei Deep Purple di inizio ’70, non del tutto fuori luogo se di pari passo con le derivazioni zeppeliniane del resto dell’opera), passando dalle predisposizioni litfibiane di La scatola, le influenze blueseggianti di Calle California e la pura poesia in suoni e parole di Il lamento di Danae e (Di) Amanti. In linea col pensiero complessivo di autore e opera, non mancano contenuti di una certa importanza saggiamente altalenanti tra considerazioni di abbandono e desiderio di soluzione, esigenza di perdizione e predominio del senso di controllo, necessarie evasioni spirituali e costrizioni meramente terrene. Tutti elementi – musicali e non – che si travestono, dunque, da immediatezza per lasciar scoprire solo ai meritevoli tutta la densità e la profondità di ogni singola scelta.
Voto: 8
(Foto: tuttorock.net / siranda.bandcamp.com)
Stefano Gallone
@SteGallone