
Le salme dei 700 migranti a cui gli italiani non vogliono dare un nome
Il 29 giugno è stato recuperato il barcone naufragato il 18 aprile 2015 con a bordo oltre 700 migranti: le reazioni degli italiani lasciano senza parole

Il relitto del più tragico naufragio avvenuto il 18 aprile 2015 dove hanno perso la vita oltre 700 migranti (Fonte foto: www.tg24.sky.it)
Il 30 giugno 2016 si è parlato molto di migranti. In particolare il programma di RaiRadio3 Tutta la città ne parla – programma radiofonico che affronta e discute i temi proposti dagli ascoltatori di Radio3 ogni giorno, a partire dalle telefonate che arrivano nel corso di Prima Pagina – si è occupato dell’operazione di recupero del relitto del peschereccio che il 18 aprile 2015 è naufragato al largo delle coste libiche. A bordo c’erano circa 700 migranti. Nessuno di loro si è salvato.
Le operazioni di recupero del peschereccio sono iniziate la scorsa primavera e sono servite a recuperare, lo scorso 29 giugno, il relitto e i corpi dei morti al suo interno; soprattutto, si è cercato di recuperare il maggior numero possibile di corpi, per tentare di dar loro un nome, per mezzo di una complessa procedura medico-scientifica, e una degna sepoltura.
Mentre Gigi Riva dava lettura degli articoli che raccontavano le operazioni di recupero del relitto durante il programma Filo diretto di Prima Pagina, sono cominciati ad arrivare i commenti degli ascoltatori tramite sms. Intanto Pietro del Soldà, durante il programma Tutta la città ne parla, ha dato il via ai commenti e alle opinioni degli ascoltatori.
I COMMENTI DI ALCUNI ASCOLTATORI – Il primo ascoltatore ha posto queste domande: «Come si è arrivati ad autorizzare questo recupero? Quale ministero l’ha autorizzato? Qual è il costo? La copertura dell’operazione è di un privato o dello Stato italiano?».
Dopo di lui, molti ascoltatori hanno lasciato un commento sulla pagina social del programma radiofonico o sul blog dello stesso, tutti più o meno dello stesso tenore: «Il recupero del barcone è offensivo nei confronti di molti italiani in difficoltà, le sepolture vanno fatte in mare»; «Non ci sono soldi per la sanità, per le pensioni, per la manutenzione delle strade, per gli incentivi allo sviluppo, per la riduzione del debito, ma poi ci beiamo di aver recuperato il relitto di un barcone naufragato nelle acque libiche. Quanto è costata questa scellerata scelta demagogica?»; ancora: «Il recupero dei corpi morti pare un’abile e cinica e programmata operazione di marketing […] si solletica la pietà per sensibilizzare e giustificare e continuare la filiera della tratta dei nuovi schiavi»; «Si conosce il costo del sollevamento del traghetto affondato e del riconoscimento delle vittime?».

I migranti lo sanno che restare o partire significa solo una cosa: morire (Fonte foto:www.internazionale.it)
Molti, moltissimi ascoltatori si sono concentrati sull’utilità e sui costi di questa operazione, tralasciando completamente il nodo etico. Ma dov’è finito il sentimento di umanità di questi italiani? Forse che queste 700 salme non hanno il diritto ad avere un nome perché, come commenta un’altra ascoltatrice: «Ai nostri occhi privilegiati non avevano dignità neanche da vivi»?
Avrebbero reagito in maniera diversa questi ascoltatori se quei 700 morti non fossero stati africani subsahariani ma italiani?
E poi certo che questa operazione ha un costo: sarebbe stato meglio, però, investire questi soldi nella creazione di corridoi umanitari che aiutassero queste persone, questi migranti, da vive.
LA TRADIZIONE OCCIDENTALE DELLA SEPOLTURA – Il professore emerito di storia della filosofia dell’Università di Padova, Umberto Curi, dopo aver ascoltato i commenti e interpellato dal conduttore radiofonico ha spiegato che la tradizione di seppellire i morti in Occidente deriva dalla cultura greca. Il professore ha raccontato che i greci antichi non amavano il mare perché in esso si nascondeva proprio l’eventualità di morire senza poter ricevere degna sepoltura. In termini di matrici culturali questo fatto non può passare inosservato: sia pure come un ricordo di una tradizione culturale lontana questo problema delle onoranze rese ai caduti, quali sono i 700 migranti, è un tema che ricorre costantemente nella nostra cultura e non possiamo trattarli come fossero semplicemente numeri e soldi spesi.
A questo punto della trasmissione il dibattito si è acceso ancora di più, perché molti degli italiani all’ascolto hanno iniziato a dire che la faccenda si stava trasformando in un dibattito infecondo tra intellettuali.
DOMANDE CHE HANNO RISPOSTE SCOMODE – Così il professor Curi ha chiuso il collegamento telefonico, non prima di aver pronunciato queste parole: «Non si capisce su quale base si possano distinguere i propri morti dai morti in quanto tali. Non solo queste 700 persone non hanno ricevuto l’accoglienza che avrebbe potuto salvarli, ma vengono rifiutati anche da morti. Riusciamo – noi italiani – a impegnarci per un’accoglienza che sia all’altezza della civiltà che dovremmo incarnare? Oppure le critiche economiche nascondono una riluttanza radicale a misurarsi con un altro essere umano, con uno straniero?».
Poi è stata la volta del collegamento telefonico con Alessandro Leogrande, vicedirettore del mensile Lo straniero, il quale ha posto questa domanda: perché secondo voi quelle 700 persone si sono imbarcate su un peschereccio che non poteva contenerli, per di più pagando, sapendo benissimo che stavano andando incontro alla morte?
Noi non sappiamo se gli ascoltatori del programma di RaiRadio3 hanno ragione oppure torto a essere così cinici e a pensare che questa storia del recupero delle salme faccia tanto radical chic e politicamente corretto e quindi faccia tanto bene a politici e intellettuali; non sappiamo nemmeno se Del Soldà abbia fatto bene a pubblicare i commenti degli ascoltatori alimentando la discussione e invitando a parlarne filosofi e scrittori; però questo dibattito ci ha fatto riflettere e ci ha fatto porre una ulteriore domanda: perché noi occidentali, noi europei, ma soprattutto noi italiani, ci sentiamo superiori a queste 700 persone, superiori a tutte quelle che si sono salvate in questi anni e a tutti quei migranti che ancora, purtroppo, non si salveranno?
Mariangela Campo