Lavorare come badanti e colf. Così si combatte la crisi

badantiBadanti, colf e babysitter. Un aiuto domestico per tutte le esigenze, che si tratti di pulire casa, accudire i figli o prendersi cura degli anziani o disabili. Un mercato in crescita che oggi nel nostro Paese ha superato quota 1 milione 650mila, con un aumento del 53% negli ultimi dieci anni.

Sono i dati diffusi dal Censis e Ismu per il ministero del Lavoro che stimano per il 2030 un ulteriore aumento di circa 500mila.

E così mentre la popolazione italiana invecchia, le famiglie arrivano a stento a fine mese e la disoccupazione tocca livelli più che preoccupanti (oltre 3 milioni di disoccupati), la domanda sorge spontanea: è giusto snobbare ancora questo mestiere lasciando agli stranieri i benefici di un mercato comunque in crescita? Il 77,3% del personale impiegato come aiuto domestico è straniero: rumeni, ucraini, filippini, moldavi, marocchini, peruviani, polacchi e russi.

Gli italiani sono poco più del 22% anche se nelle regioni del Sud la percentuale tocca il 36%. Ma la tendenza che emerge dai dati raccolti è che in molte famiglie, soprattutto le donne, sono disposte a ridurre le ore di lavoro o, addirittura a lasciarlo, per dedicarsi alla cura dei congiunti. Almeno il 15% dei nuclei che usufruiscono di assistenza domestica non esclude, infatti, questa soluzione visto che la spesa media mensile si aggira sui 667€.

Intere famiglie hanno dovuto ridurre i consumi per poter mantenere un collaboratore, altri hanno speso i proprio risparmi o si sono indebitati per far fronte alle necessità di un proprio caro. Nei prossimi anni 4 famiglie su 10 non riusciranno più ad avere un tale supporto e allora, l’unica soluzione, rimane l’assistenza familiare, a trazione femminile.

Il settore però, come sottolinea il direttore generale del Censis Giuseppe Roma, rimane ancora da strutturare: nonostante il decreto per la regolarizzazione di colf e badanti, oltre un quarto dei collaboratori sono del tutto irregolari. Solo il 14,3% ha seguito corsi di formazione e solo due famiglie su dieci si rivolgono a intermediari specializzati per le assunzioni.

 

Redazione

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