
L’arte multimediale secondo il C.A.R.M.A.
Nasce a Roma il Centro d’Arti e Ricerche Multimediali Applicate: un nuovo punto d’incontro per esperienze e percorsi multimediali audiovisivi
Ha fatto il suo debutto nel panorama della ricerca e sperimentazione sulle arti multimediali il C.A.R.M.A., Centro d’Arti e Ricerche Multimediali Applicate, ospitato venerdì scorso presso gli spazi della sede dell’Associazione Internazionale A.I.A.S.P.
Il Centro, fondato dal gruppo curatoriale Le Momo Electronique e il Daimon Studio, rappresenta un crocevia di artisti e studiosi interessati a produrre, selezionare e promuovere le nuove forme di espressione multimediale, senza però mai perdere di vista l’opera dei loro predecessori.
Innovazione e tradizione. Da qui l’accostamento di due artisti cronologicamente agli antipodi nella storia della videoarte: Nam June Paik e Lino Strangis.
Del primo, artista statunitense di origine sudcoreana considerato il fondatore della videoarte, è stata esposta l’opera del 1986 Sixtina electronique/Spring Fall, videografia tipica della poetica del maestro, nella quale vengono proposte delle sequenze televisive dell’epoca rielaborate elettronicamente utilizzando le tecnologie più d’avanguardia del suo tempo.
Di Lino Strangis si è potuto ammirare in anteprima mondiale la videoinstallazione multicanale intitolata Sentieri Incrociati n.1… Lost Ways in Africa, di recente inserita dal critico Marco M. Gazzano nel work in progress internazionale Tower Of Peace, al quale hanno preso parte molti tra i maggiori autori della videoarte.
Qui, la metafora delle vite umane che si incrociano e si trapassano nel “percorso” dell’esistenza ha come ambientazione un villaggio africano, primo scenario (nel titolo, n.1) di una serie di opere accomunate dallo stesso leit motiv.
Nella breve intervista che segue, Lino Strangis ci offre il suo punto di vista sulla videoarte.
D. Puoi fornirci una definizione di videoarte accessibile a tutti coloro che non ne hanno mai sentito parlare?
R. La videoarte è nata essenzialmente come un modo alternativo di usare le tecnologie audiovisive diverso da quello dei mass media. Questa tecnica si sposa con l’idea di un’arte capace di guardare le cose da prospettive sempre nuove che conferiscono altrettante nuove “opzioni di mondo”. Il video, ancora oggi dopo tanto tempo, è il mezzo più usato nel veicolare informazione e purtroppo a volte viene strumentalizzato. Quindi, continuare a lavorare in questa disciplina equivale a mantenere uno stimolo di interpretazione sempre nuova della realtà.
D. Nella tua opera quali sono gli elementi legati alla tradizione e quali invece puntano all’innovazione delle tecniche di videoarte?
R. Un aspetto tradizionale della videoarte che sicuramente ho mantenuto nella mia poetica è quello di mostrare le cose del mondo in maniera diversa, alterata. Inoltre, un legame con la tradizione, che è al contempo una forma di innovazione, risiede nel fatto che cerco di realizzare delle metafore concettuali utilizzando la grammatica degli effetti di alterazione creata da pionieri come Paik, i Vasulka ecc… Mentre Paik, forse proprio in qualità di pioniere, ha creato una sorta di enciclopedia delle diverse prospettive attraverso cui è possibile osservare la realtà, io concentro il mio sguardo su una “opzione di mondo” specifica, di cui indago e scandaglio l’estetica.
D. Secondo te dove muove attualmente la ricerca nel campo della videoarte?
R. È molto importante scoprire le pulsioni originarie. I primi artisti sono stati come dei profeti che hanno capito quanto potesse essere importante la videoarte oggi. Al di là del significato specifico delle opere, dunque, la videoarte è come un modo di liberare le immagini dalla mistificazione e strumentalizzazione di cui se ne fa oggi. La videoarte può continuare ad essere un mezzo capace di restituire verità alle immagini, capace di mostrare più verità, penetrando la realtà in modo differente dal normale.
Sulla stessa linea poetica si colloca il lavoro di Setreocilia Project, realizzato dagli artisti Filippo Torre, Sami Rahal e Lino Strangis. La performance d’improvvisazione sonora effettuata dal trio intende, infatti, restituire verità al suono, recuperandone il significato originario seppur riattualizzandolo.
Stereocilia Project offre un’interpretazione performativa, attraverso l’utilizzo di effetti primordiali (essenzialmente il delay, primo effetto audio concepito) degli impulsi sonori derivanti da strumenti musicali oggetti di quotidiano utilizzo, delineando un processo di “nascita e sviluppo” del suono. Questa, come altre fra le prime performance del trio, non si avvale di raffinate strutture armoniche e proposizioni melodiche, quanto piuttosto dell’effetto che i suoni producono nello spazio della nostra vita quotidiana. Ciò a proposta di un excursus che “ripercorrerà le tappe della storia del suono e del suo significato nel mondo”.
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