
L’apocalisse del “2012″? La solita americanata
Dopo i successi di “The Day after Tomorrow” e “Independence Day”, la nuova fine del mondo firmata Roland Emmerich lascia insoddisfatti gli amanti del genere
di Adriano Ferrarato
La storia inizia nel 2009. Un ricercatore indiano fa una terribile scoperta: il nucleo terrestre è prossimo al collasso, dissolto da un anomalo incremento delle radiazioni provenienti dal sole. Il problema arriva all’attenzione delle più alte cariche degli Stati Uniti d’America: la fine del mondo è alle porte. In gran segreto gli U.S.A. iniziano velocemente a preparare un piano di evacuazione e a trarre in salvo importanti manufatti storici dell’antichità. La catastrofe ha inizio però con eccessivo anticipo, solamente tre anni dopo. Nella distruzione totale e irreversibile del Pianeta, la razza umana cerca di sopravvivere lottando con tutte le proprie forze contro la natura e la sua forza impossibile da domare.
La trama di “2012” è semplice e abbastanza scontata, così come i precedenti film di Roland Emmerich (Independence Day e The Day after Tomorrow): inizio misterioso e dalla tensione crescente, una breve presentazione dei personaggi, il momento in cui l’evento catastrofico arriva e sconvolge tutto, la battaglia per la salvezza, il lieto fine sulle spalle di un mondo che non è più quello di prima, raso al suolo.
Con 230 milioni di dollari di budget a disposizione, ci si aspettava probabilmente qualcosa di più, ad eccezione degli effetti speciali imponenti, di cui peraltro non tutti perfettamente credibili. I personaggi del film risultano abbastanza abulici e stereotipati: lo scienziato che si riscopre moralmente interessato all’irrazionalità e alla vita umana (Chiwetel Ejiofor), un padre separato che cerca di riconquistare l’amore della propria famiglia (John Cusack), un rude miliardario russo senza scrupoli il cui unico interesse è quello di salvare la pelle (Zlatko Buric), la giovane e bella figlia del presidente U.S.A. dal carattere forte ma con scarsa attitudine al comando (Laura Wilson).
Sono personaggi che non riescono ad incarnare “qualitativamente” il loro ruolo, con il risultato di apparire all’interno delle scene in maniera poco naturale e decisamente forzata. Fughe mozzafiato mentre il terreno crolla sotto automobili e aerei, esplosioni, treni che volano da un ponte paiono non toccarli minimamente nell’emotività: il mondo va a pezzi e loro sembra quasi che si divertano. Non si riesce mai a raggiungere un forte stato di ansietà.
Sono poi estremamente discutibili alcune figure della pellicola che invece di avere spessore e carisma si limitano ad incarnare dei modelli morali che in questa società appaiono ormai totalmente fuori luogo, come ad esempio il presidente degli Stati Uniti (Danny Glover) che nella fase crescente della catastrofe assume la parte dell’eroe pronto a morire per il suo popolo. O il pazzo Charlie Frost (Woody Harrelson) che, in diretta radiofonica, descrive in termini biblici la gigantesca eruzione del vulcano Yellowstone minimamente impaurito dalla lava e i lapilli che velocemente avanzano verso di lui conducendolo alla morte. E’ matto, ma folle non significa stupido.
Le scene apocalittiche sono poi accompagnate da scene di disperazione già viste in almeno altri mille film. Il tema dell’addio straziante è ripreso più di una volta in questo disaster-movie dove i dialoghi sono troppo standardizzati, le frasi storiche inconsistenti e inserite in momenti ovvi, così come le battute sempre americanizzate e prevedibili, se non assurde (come ad esempio quella pessima sulla grandezza dell’Everest). La retorica non è nemmeno più considerata un’ arte. Il sentimentalismo è surreale e a volte schernisce il senso della morte che dovrebbe invece pervadere tutto il film.
L’umanità che emerge da questo evento cinematografico è disillusa, statica, il potere è segreto e solo chi è all’altezza è in grado di salvarsi, pena la dipartita. Gli attori del cast incarnano le contraddizioni di un mondo dove non tutti sono uguali e solo i duri e i migliori riescono a prevalere. E dove il tradimento e la menzogna sono all’ordine del giorno.
Un discorso a parte merita la considerazione che il regista ha fatto del nostro Paese e del suo primo ministro, sbeffeggiato da Emmerich nelle poche scene in cui siamo rappresentati. Una pessima figura per il nostro Stato, ma anche la cartina tornasole di come siamo visti all’estero. Una vera delusione.
Ciò non toglie comunque il fatto che ”2012″ si vede tutto di un fiato, pur essendo lunghissimo (più di due ore di durata). Da vedere se non si cerca un cinema sicuramente più “impegnato”, ma maggiormente commerciale.