
La Sicilia dei Forconi. Mafiosi? No, arrabbiati come il resto d’Italia
Roma – Attenzione a liquidare tutto sotto la sigla “mafiosi” o quella ancor più fumosa di “fascisti”. Due epiteti tanto offensivi quanto evocativi spesso allegramente usati per demolire chi è percepito come nemico. La protesta del Movimento dei Forconi e Forza d’Urto che ha messo in ginocchio la Sicilia è qualcosa di profondo e radicato. Una rabbia popolare che sta trovando sempre più consenso. Tanto che pare sia sul punto di superare i confini della regione per approdare in Abruzzo e Sardegna, riproponendo con vigore la “questione meridionale”.
I numeri – La Sicilia è al collasso. Cinque giorni di ribellione degli agroalimentari unita al blocco del trasposto merci ha generato il caos: supermercati vuoti, scorte finite, prodotti freschi marciti, chilometri di fila davanti ai banzinai. Un disastro di cui oggi, all’indomani del ritiro del blocco, si cominciano a quantificare le stime. Dice la Coldiretti: 500 milioni di euro di danni in tutta la regione; 50 milioni quelli relativi al comparto agroalimentare; 2000 le attività che hanno avviato le pratiche di fallimento e di cassa integrazione. Non è finita. Uno dei leader, Martino Morsello, ha promesso che la protesta continuerà, pacificamente, ma duramente finché le richieste non saranno sentite ed accolte.
La polemica – Richieste che a dire il vero hanno un’eco statalista, uno indipendentista-antipolitico e molti di antieuropeismo a partire dalla moneta unica. L’euro non piace. Troppo oneroso. Tanto più se associato alla spietata concorrenza dei prodotti agricoli di altri paesi, Cina in testa. Blocco import. Nonché una seria rivalutazione del costi dell’energia (0,0030 cent) e dei carburanti (0,70 cent). Inoltre, una riqualificazione del Programma sviluppo regionale (Prs) ovvero le misure di assistenzialismo statale che la crisi economica ha reso insopportabili. Ragion per cui, il Movimento richiede anche un’applicazione piena dell’art. 36 dello Statuto della Sicilia: “Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima”. In sostanza: le tasse della Sicilia rimangano in Sicilia, previa destituzione delle forze politiche, soprattutto locali, accusate di aver trasformato la regione in un ventre di clientelismo e malaffare.
Ora, qualsiasi cosa si ritenga delle proposte e dei metodi adottati per rivendicarle, ciò che proprio non funziona è la corsa di qualche genio progressista a tentare di screditare sul nascere il Movimento, coprendolo con il vessillo della “mafia”. Tra le voci, il blog Popolo Viola che ha spiegato come Morsello e figlia siano vicini a Forza Nuova. Dunque il sillogismo in voga tra i radical sarebbe più o meno il seguente: meridionali, perciò mafiosi, con l’aggravante di essere di estrema destra. Estendendo la valutazione a tutta quella abbondante parte di regione che al Movimento crede, il risultato è: la Sicilia è in subbuglio a causa di mafiosi in visibilio per Mussolini. Roba da far ridere i polli. Allora ragioniamo.
Forza Nuova ha trovato nel Movimento un angolo di dialogo. Questo è chiaro. Si riconosce in alcune delle rivendicazioni e ciò non è cosa cattiva. Anche il Sel di Nichi Vendola pare non disdegni la protesta. Certamente sembra gradita alla sorella del giudice antimafia Paolo Borsellino, Rita Borsellino (Pd), la quale rifiuta di sentire parlare di mafia nelle cause all’origine del Movimento. Perché i progressisti non dicono nulla? Forza Nuova sì e il Sel no? Beata l’ora che estrema sinistra e destra trovano al Sud un terreno comune di confronto, analisi e sintesi, perché è proprio nella collaborazione della politica viva e lontana dai Palazzi che si può sbarrare la strada alle infiltrazioni criminali di cui si teme l’influenza. Per capire: la procura di Gela ha aperto un fascicolo per accertare se realmente alcune pompe di benzina hanno fatto la cresta sul rialzo dei carburanti, toccando i 2,5-3 euro al litro e stabilire in quali tasche i profitti siano finiti. Il pericolo c’è, eccome. Ecco perché strillare alla luce del sole nelle piazze, una volta tanto ben utilizzate rivendicando diritti e condannando comportamenti criminosi, è sacrosanto.
Non si è forse sempre accusato il Sud di omertà? Immobilismo? Parassitismo? Non siamo tutti sconteti dell’euro, dei rincari e dell’amministrazione europea? Non ci sono in tutta Italia proteste di categoria e scioperi? Perché al Sud tutto questo dovrebbe per forza fare rima con “mafia”.
Parliamo di liberalizzazioni. Se sono doverose in un Paese al ristagno è bene aggiungere un dettaglio: non c’è libertà, tanto meno di mercato, se il salasso fiscale sul reddito è pari al 50% di quanto guadagnato in un anno. Tutti quattrini che vanno ad alimentare la colossale macchina pubblica che ci trasciniamo dietro. Se il vento liberalizzatore di Monti, premier gradito ai progressisti, avesse alleggerito la burocrazia e le super cariche – ovvero alcuni dei cosiddetti poteri forti intoccabili – avrebbe guadagnato 1,7 % di Pil in più. Circa 60 miliardi l’anno ripartiti, secondo Confartigianato, in 3 più rilevanti zone: nord-ovest con 4,1 miliardi di euro, nord-est con 3 miliardi e il meridione con 3,5. Così, tanto per ricordare come in tempi di crisi l’Italia forse e se non altro ha trovato l’unità.
Chantal Cresta
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