Django Unchained. L’ultima meraviglia di Tarantino – VIDEO

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Christoph Waltz e Jamie Foxx in Django Unchained

Benvenuti, signore e signori, alla festa, prego accomodatevi. Benvenuti nell’universo di Quentin Tarantino. Attenzione perché si balla. Qui tutto è eccessivo ma fatevene una ragione, se non fosse eccessivo non sarebbe Tarantino. E se non fosse Tarantino non sarebbe unico e riconoscibile, come lo è stato dal suo primo film. Ecco per voi una delle pellicole più divertenti degli ultimi dieci anni. Django Unchained lascia prosciugati, divertiti, compiaciuti, spossati, estasiati, folgorati. E senza dilungarci, Django è un film brillante, una gemma.

Dopo aver riempito i suoi precedenti film di riferimenti al western con disonesti fuorilegge e duelli di varia natura, per la prima volta il regista prende il genere nella sua pienezza. La storia lineare ambientata nel 1858 narra del cacciatore di taglie che si spaccia per dentista, King Schultz – Christoph Waltz – recupera lo schiavo Django Freeman – Jamie Foxx – e lo fa diventare suo socio promettendogli di aiutarlo a trovare sua moglie Broomhilda – Kerry Washington – schiava nelle mani del crudele latifondista Calvin Candie – Leonardo Di Caprio.

Dopo la Seconda guerra mondiale e il nazismo, Tarantino racconta della schiavitù negli Stati Uniti di metà ottocento e l’energia revisionista del regista qui è senza dubbio ai livelli di Bastardi senza gloria. Gli zoom improvvisi, i carrelli perfetti, i ralenty, le inquadrature delle scene di esplosioni di teste e sangue a fiumi sono i dettagli centrati di regia in una bellezza di risultato filmico più ampia. La grandezza di Tarantino è riuscire a raccontare la sua Storia, il suo mondo parallelo – come lo fu per il nazismo e la morte di Hitler in Bastardi – collocandola precisamente senza eliminare le vicende reali. ll Texas pre-Guerra di secessione è iperrealistico ed estremo ma allo stesso tempo una fotografia perfetta dell’epoca. Ci viene raccontata una favola, come quella tedesca di Broomhilde cara a Schultz, ma perfettamente centrata in un preciso periodo storico. Con buona pace per i suoi denigratori, nessun altro regista è mai stato capace di tanto.

Divertente da morirci, audace, violento, sadico, dalla saggezza unica, Django è un film che trasuda vita e speranza. Uno schiaffo all’America e alle sue fondamenta razziste e schiaviste. Un film con cui il popolo americano dovrà per forza di cose fare i conti nei prossimi anni. Poetico, estremo e goliardico, con questo film Tarantino aggiunge alla sua filmografia una pietra miliare. L’amore per la cultura nera da parte del regista non è mai stata un segreto e mai così evidente come in Django, come l’enorme rispetto per la cultura afroamericana in tutte le sue opere. Si veda Jackie Brown, dove una donna nera di mezz’età è la protagonista di un noir perfetto, bistrattato dalla critica e dal pubblico. L’America evidentemente non era ancora pronta per un’eroina nera così coraggiosa, così triste anche e così in gamba.

E forte e palpabile è il disgusto del regista nei confronti dell’abominio dello schiavismo, l’odio verso i “bifolchi”, la natura razzista di una parte della società statunitense e un senso di giustizia estremo, esasperato da colpi di pistola alla testa. Questa è violenza? No, Tarantino ci dice che questo è cinema. La violenza sono i dettagli mostruosi dei comportamenti tra esseri umani in quelli che erano le abominevoli abitudini di quella società, azioni figlie di un pensiero ignobile che in alcuni ancora oggi serpeggia latente. Come ad esempio la convinzione da parte del latifondista Candie che la frenologia fosse una scienza e che giustificasse la particolare propensione verso il servilismo degli afroamericani.

A ispirare questa pellicola è il Django di Sergio Corbucci del 1966, con protagonista Franco Nero, qui presente in un cameo, ma è anche evidente l’amore risaputo per lo spaghetti-western da parte del regista o i riferimenti, tra gli altri, a Butch Cassidy o a Gli spietati, prova ulteriore di come Tarantino abbia unito in modo unico il cinema americano con quello europeo. Teso e sovversivo, anche nella scelta della colonna sonora stupenda, da Morricone a Giuseppe Verdi, da Rza a Bacalov.

Gli attori sono perfetti. Foxx ha una presenza fisica incredibile, Christoph Waltz è un capolavoro nel trasmettere le sfumature del suo pensiero, dal distacco verso l’uccisione di gente che lo ha meritato alla sua profonda umanità nel non cedere alle pretese del diabolico Candie. Il suo personaggio rappresenta il coraggio di pochi americani che in quel periodo lottarono per rendere libera l’America schiavista. Di Caprio è malvagio e convincente e Samuel L. Jackson, vestendo i panni del più ripugnante zio Tom che la storia del cinema ricordi è grandioso. Il carisma dei due protagonisti e il racconto della nascita del loro rapporto è straordinario, tanto da farci affezionare ai personaggi in maniera persino raffinata e sorprendere nello scoprire di aver assistito ad un profonda storia di amicizia.

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Jamie Foxx e Leonardo Di Caprio in Django Unchained

Django è inoltre una pellicola dove spettacolo e profondità si bilanciano. Un film di vendetta e salvezza, un viaggio itinerante, l’avventura di una vendetta. La storia del bene conto il male in maniera più generale e come in tutti i film di Tarantino i cattivi alla fine avranno quello che si meritano. La prima metà del film è più dinamica mentre la seconda fa sprofondare poco a poco nell’abisso dell’ignoranza e del male puro fino all’apoteosi della baraonda finale.

Tanti i momenti di estasi cinematografica. La scena dell’assassinio dello sceriffo con la donna che sviene è un capolavoro per tensione, sceneggiatura, campi e controcampi, location – il bar vuoto e la strada piena di gente – e comicità.  Quella dei giustizieri, novelli membri del futuro Ku Klux Klan, con evidenti problemi con i cappucci bianchi in testa dai buchi troppo piccoli per vederci qualcosa, è esilarante. O il momento in cui Schultz rivela al perfido Candie che Dumas era nero, persino commovente. E sia chiaro, Django non è un film perfetto ma se lo fosse non sarebbe un film così riuscito. E non sarebbe Tarantino. Dalla sua comparsa in poi il cinema ha dovuto e dovrà sempre fare riferimento a lui e questo film lo conferma, l’unione di forma e sostanza non ha eguali.

E dunque benvenuti alla festa. Perché assistere a un film di Tarantino è come prendere parte a qualcosa di proibito, essere invitati alla festa più incredibile alla quale abbiate partecipato. Una festa dove i seccanti e i rigidi non ci verranno mai per scelta e ne parleranno anche male, moltissimi vi parteciperanno con spirito superficiale divertendosi e raccontando poi che gran festa è stata senza averne vissuto l’essenza. Altri invece ne assaporeranno le immagini e i colori vivendo un onesto flusso di coscienza, scoprendo gli interstizi sottili dove si uniscono il piacere dei sensi e la profondità dei sentimenti e assaporando ogni singolo attimo di un’esperienza irripetibile. Benvenuti alla festa, allora, ma sappiate divertirvi, perché di feste così non se ne trovano mica tutti i giorni.

Tanto irresponsabile e sfrontato stilisticamente quanto serissimo e profondo eticamente, l’imperdibile Django Unchained fa già parte della storia del cinema moderno.

Gian Piero Bruno

@GianFou

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=uALPPuJcnGQ[/youtube]

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