La primavera araba nei Paesi nordafricani: cos’è cambiato ad oggi?

Tunisi – Fu a Sidi Bouzid, piccolo paese della Tunisia, che venne gettato il seme della cosiddetta primavera araba: era il  17 dicembre 2010 ed un venditore ambulante di nome Mohammed Bouazizi , dopo aver visto sequestrata la propria merce dalle forze di polizia, si dà fuoco.  L’episodio  segna l’inizio simbolico di una serie di scontri e guerre civili che interessarono ben presto Egitto, Libia, Siria; il fuoco alle polveri della primavera araba. Ma a due anni di distanza dallo scoppio delle rivoluzioni, cosa è cambiato davvero nei paesi liberati? Si può parlare di cambio di rotta rispetto ai precedenti regimi e miglioramento delle condizioni di vita?

Da Ben Ali a Ennahda il passo, in Tunisia, non è stato breve: la fuga dell’ormai ex presidente Zine el-Abidine Bel Ali è stata resa possibile solamente dopo clamorose ondate di proteste e sollevazioni dei cittadini tunisini, che hanno infine costretto alla resa quello che nei fatti è stato per 23 anni sovrano assoluto del Paese.  Alle elezioni, le prime, storiche, elezioni libere in Tunisia, il 23 ottobre 2011 risultò che l’Assemblea costituente avrebbe visto 91 dei suoi 217 seggi in mano al partito di Rachid Gannouchi, Ennahda. Un partito di “rinascita” di matrice islamica; ma in Tunisia salafismo e fondamentalismo non fanno poi così paura: questo è uno dei paesi più laici della Primavera araba. Con l’avvento della Costituente e la caduta di Bel Ali la Tunisia ha potuto rivelare le proprie difficoltà socio-economiche: alti tassi di disoccupazione (11,5%) e povertà. Essa tocca un tunisino su dieci come afferma oggi Khalikl Zaoulia, ministro degli Affari sociali. Sempre Zaoulia avverte i suoi connazionali della necessità di trovare al più presto risorse per il sistema delle pensioni tunisino, che dovrebbe conoscere intorno al 2016-2020 un deficit di dimensioni imponenti. Non bastasse ciò, Tunisi deve far anche i conti con le pesanti ingerenze politiche nella guida dei media pubblici, che hanno portato il sindacato dei giornalisti ad indire uno sciopero per il 17 ottobre. I mezzi d’informazione pubblici, televisione in primis, sono d’altra parte strumenti principi di propaganda elettorale e la loro manipolazione risulta decisiva: specie constatando come i sondaggi recenti diano in grossa perdita di consenso Ennahda ( 31%). E se la donna è considerata formalmente dalla nuova Costituzione come individuo a sé, non complementare all’uomo, continua ad esser praticato e difeso il cotumier, che sancisce le nozze  anche in caso di non-volontà da parte della futura sposa.

11 febbraio 2011: si sfalda un altro regime. Il presidente egiziano Hosni Mubarak si dimette: era al potere dal 1981. Piazza Tahrir festeggia la caduta del suo dittatore ma si ritrova a pochi mesi di distanza a metter via spumante ed illusioni: tornano le sollevazioni, le manifestazioni finite nel sangue. L’Esercito garante della rivoluzione preparava invece il golpe bianco: tutto cambiava per non cambiar nulla, e così Mohamed Mursi, leader dei Fratelli Musulmani e salafiti, è ora presidente. Il regime, alla fine, non ha perso. La rivoluzione è stata svuotata del suo significato.

Anche in Libia, alla caduta di Gheddafi nei pressi di Sirte e alla fine della guerra civile, è seguito un periodo di forte instabilità -confermata anche dagli attacchi alle ambasciate USA- che però non accenna ad abbandonare il paese. Continuano i conflitti interni, lo strapotere delle milizie, il circolo di armi; imperversano i seguaci del raìs: la vittoria del liberale Mahmoud Jibril alle elezioni del 7 luglio di quest’anno non ha contribuito a ricreare l’unità di un paese tuttora in guerra. Il cammino verso la democrazia si fa sempre più incerto, anche alla luce di un Occidente che ha dimenticato i paesi nordafricani della primavera araba, lasciandoli a sé stessi.

Valentina Medori

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