
La Passione, quando fare cinema è una fede
Aggiunto da Adriano Ferrarato il 24/09/2010.
Tags della Galleria Cinema/TV, Cultura e Spettacolo, Primo piano
Tags: calibro, carlo mazzacurati, case, cellulare, cinema, corrado guzzanti, cristiana capotondi, denaro, difficoltà, fede, Fiorano, flaminia sbarbato, gesù, giuseppe battiston, grande schermo, incredibile, inversione, la passione, lavoro, marcio, melanzane alla parmigiana, Messia, meteo, modernità, Municipio, paese, pianto, pioggia, prende, qualità, qualitativamente, raniero, regista, risate, sacra rappresentazione, salvatore, Silvio Orlando, sincero, sindaco, Stefania Sandrelli, tendenza, tv, viandanti
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Una pellicola sul mestiere della regia, ma anche una forte invettiva contro il mondo dell’arte, dove la modernità sta letteralmente “mangiando” il cuore della dedizione che essa richiede
di Adriano Ferrarato
Carlo Mazzacurati racconta cosa è veramente il mestiere del regista, paragonandolo ad un Cristo capace di far miracoli, tradito, abbandonato e (in questo caso non evangelico) moralmente ucciso per poi risorgere. Protagonista della sua storia è proprio un direttore di scena in crisi, Gianni Dubois (Silvio Orlando), che da 5 anni non dirige più un film, al quale viene proposto di lavorare con la stella emergente del momento, Flaminia Sbarbato (Cristiana Capotondi). Ma al povero artista non viene in mente nessuna idea valida da proporre alla giovane attrice perché possa iniziare le riprese.
Per di più, Dubois viene richiamato a Fiorano dal sindaco (Stefania Sandrelli), perché una perdita d’acqua all’interno di un appartamento di sua proprietà ha distrutto un magnifico affresco del cinquecento. E di fronte alla minaccia di una denuncia ai beni culturali, resta la possibilità di riparare al danno dirigendo la sacra rappresentazione del venerdì santo con gli abitanti del paese. E tutto a soli quattro giorni dal grande evento.
Commedia divertente, irriverente senza volgarità, “La Passione” non è tuttavia solo un film sul mestiere della regia, ma anche una importante invettiva contro il mondo dell’arte, dove la modernità sta letteralmente “mangiando” il cuore, l’essenza stessa dell’impegno che essa richiede. La condizione dell’artista moderno è ancor di più nello stato attuale, quello di una persona divisa tra la dedizione al proprio lavoro, l’orgoglio di un prodotto ottenuto con il cuore e il sudore, e le contrastanti esigenze del mercato. E’la posizione in cui si trova Dubois, a cui sono imposte scelte “commerciali”, cinematografie senza senso o dalle logiche terribilmente prevedibili se non addirittura stupide.
Esemplare in tal senso il ruolo che Cristiana Capotondi offre del suo personaggio: il cinema è per la lei la notorietà, una valorizzazione estetica senz’anima dove conta solo recitare qualcosa che piace. E’un inversione di tendenza forte: non è più il regista che dà il ruolo, ma è l’attore, con atto di superbia, a scegliere cosa fare e come fare. E su quest’ultimo punto, anche Corrado Guzzanti gioca una prova divertente quanto perfetta.
Interpretando Abbruscati, un uomo del meteo televisivo chiamato in causa per recitare il ruolo del Messia, Guzzanti (tra brillanti intuizioni stilistiche e esilaranti modulazioni vocali) narra con ingegno un altro dei dilemmi più evidenti del mondo del grande schermo (ma in generale dello spettacolo contemporaneo): l’attore incapace e senza talento che richiede ed esige un trattamento alla stregua di un professionista. E al quale chi lo dirige suo malgrado è obbligato a piegarsi (anche in ginocchio) per avere il suo aiuto.
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Un’analisi pulita, a tutto tondo, che evidenzia una coerenza rintracciabile con qualche difficoltà nel nuovo film di Mazzacurati.
Bella la location, ottimi gli attori, ma il ritmo è carente, gli intrecci poco solidi e soprattutto “trito e ritrito” il tema scelto. Si poteva fare molto di più.