
La nostra vita: la rabbia e il riscatto di un padre operaio
Presentato in concorso al 63° festival di Cannes, che ha premiato Elio Germano ”Miglior interprete maschile”, un film emozionante sulle difficoltà esistenziali di un uomo che ritrova nella famiglia la panacea di tutti i mali
di Santi Sciacca
Torna quest’anno Daniele Luchetti, dopo il celebre Mio fratello è figlio unico, a riproporci il mondo dal suo punto di vista, un punto di vista molto vicino alle persone, a tratti molto freddo per poter realmente sezionare le vite, le nostre vite. Presentato al festival di Cannes 2010 come unico film italiano in concorso (Luchetti vi aveva già partecipato concorrendo con Il portaborse e proponendosi con Mio fratello è figlio unico e Domani accadrà nella sezione “Un certain regard”).
La storia che il regista romano racconta percorre a fondo le vicende personali e stavolta, più di altre, l’occhio politico, che ha sempre caratterizzato il suo cinema, fa più propriamente da sfondo.
Il protagonista Claudio (Elio Germano) è da un lato un operaio che lavora nell’edilizia come costruttore di case, coordinando altri manovali, per lo più extra-comunitari, e dall’altro lato un uomo dalla vita felice, sposato con Elena (Isabella Ragonese) e con due bambini piccoli e un altro “in arrivo”. Ma si sa, la perfezione è sempre talmente effimera che scompare non appena la si assapora: un tragedia giungerà a sconvolgere l’esistenza del protagonista; il peso della nostra vita ricadrà di colpo su di lui, per diventare la mia vita ed affrontarla non sarà facile.
Quando a scomparire sono le emozioni, ecco che vengon fuori i soldi, le scommesse, l’ambizione. In una diatriba in cui l’extra-comunitario più volte rimprovera l’ossessione per il denaro, propria degli italiani, il proposito di Claudio appare quello di “dare il meglio ai suoi figli”, quasi a voler compensare in loro altre carenze, e nel farlo si troverà a dover fronteggiare realtà ben più dure, dalla ribellione dei suoi operai sottopagati al traffico di droga.
Tuttavia se il legame familiare è fortemente ripreso (Claudio e i suoi figli si fanno forza formando un cerchio di mani; la giovane zia ribadisce che “I parenti sono come i tacchi, scomodi ma sempre utili”), il vero centro della vicenda è forse il totale sconvolgimento della vita del protagonista, che cade in un profondo stato di squilibrio e confusione, una sorta di limbo da cui non riesce a uscire; e non si tratta solo di una metafora della fragilità della situazione umana, ma anche della precarietà dell’uomo in quanto cittadino, per la cui esistenza il contesto sociale rivendica sempre il proprio ruolo dominante.
I problemi, si sa, sembra non finiscano mai; più volte Luchetti pone in risalto come in Italia le cose funzionino male e ognuno deve fare per sé: nel campo dell’edilizia “gli inciuci sono all’ordine del giorno” a dire di Claudio, sebbene lui stesso pretenda che a pagare le tasse siano gli altri. Ancora una volta il ritratto del modello italiano non fa una grinza. E se poi te la vuoi prendere con chi sbaglia, finisci per constatare (a una valutazione, però, eccessivamente vicina) che tutti hanno la loro buona ragione. Insomma, stabilire una prospettiva di giudizio è cosa tutt’altro che semplice.
La nostra vita è, nel complesso, un film che può arrivare a coinvolgere sinceramente lo spettatore, ma che tuttavia pecca di eccessiva continuità nello svolgimento, raramente spezzato da momenti in cui lo scioglimento emotivo viene lasciato a sé per raggiungere l’apice della compassione. Sebbene sia arricchito da impreviste sequenze e personaggi (vedi il particolare ruolo di Raoul Bova, stavolta non nei panni del belloccio della situazione, ma in quelli del solitario e timido fratello di Claudio) si tratta di un film in realtà molto statico nella situazione descritta, non solo perché si svolge in un limitato raggio d’azione, ma anche perché il finale, poco sferzante, non dà l’impressione di avere effettivamente offerto un insegnamento di vita ai personaggi, ma propone, e non ci sorprende, l’esile palliativo dell’adattamento.
Questa pellicola è stata veramente coinvolgente, peccato che siano stati trattati troppi diversi argomenti, la cui miscela allontana lo spettatore da uno stato d’animo totalmente empatico. Ottima la performance di Elio Germano.