“La congiura della pietra nera”: amore e arti marziali nell’antica Cina

Locandina del film

Una leggenda narra che nel 428 a.C. il principe indiano Bodhi partì per la Cina e qui divenne un grande e rispettato monaco buddhista. Alla sua morte il corpo venne diviso in due metà: chiunque fosse riuscito a ritrovarle entrambe sarebbe diventato il padrone assoluto dei segreti delle arti marziali. Centinaia di anni dopo gli assassini di una temuta e potente setta, la Pietra nera, vanno a caccia delle spoglie e uccidono Zhang, un alto ufficiale dell’impero e il figlio Jingxiu, in possesso di metà della misteriosa reliquia. Al termine dell’assalto però gli assassini si rendono conto che qualcuno di loro è scomparso: si tratta della guerriera «Pioggia fine» e con lei sono spariti anche i resti del monaco.

Quando la temibile omicida, nascondendosi dalla setta, uccide accidentalmente un maestro di arti marziali in procinto di diventare monaco buddhista e innamorato di lei, decide di cambiare vita: dopo un delicato intervento di plastica facciale, seppellisce i resti trafugati in un tempio e, sotto la nuova identità di Zeng Jing (Michelle Yeoh), si trasferisce a Pechino per condurre una vita normale. Qui si innamora di un dolce e goffo messaggero (Jung Woo-sung), anche lui portatore di un segreto che verrà rivelato solo nel finale.

Nel momento in cui Zeng Jing sembra aver trovato finalmente la via di una vita serena, ecco l’imprevisto che rivela la sua identità: durante una rapina in banca in procinto di finire in un bagno di sangue di ostaggi, riaffiora la guerriera che, a mani nude, sgomina la banda e ne acceca il capo. Tuttavia le tecniche usate sono il marchio di fabbrica di Pioggia fine che, ritrovata dalla Pietra nera, è costretta a tornare all’azione per salvare sé stessa e il marito: dovrà restituire le spoglie trafugate e combattere di nuovo con la setta per recuperare l’altra metà del corpo.

Il film è girato in coppia da Su Chao-Pin, regista e sceneggiatore emergente di Taiwan, e il celebre John Woo, autore fra l’altro di Nome in codice: Broken Arrow (1995) e di Face off (1997). Secondo alcune voci, il nome del più celebre regista sarebbe stato utilizzato maggiormente per la riuscita commerciale del film che per un vero lavoro di direzione, quest’ultimo invece totalmente in mano a Su Chao-Pin. Che questo sia vero o meno, certamente viene affrontata la tematica della confusione e del cambiamento di identità, vero caposaldo della produzione di Woo e che ha reso un capolavoro di originalità il succitato Face Off.

John Woo

La pellicola non mostra nulla di nuovo: arti marziali, effetti speciali, scene che riprendono i precedenti del genere, tra cui pietre miliari quali La tigre e il dragone (2000) o La foresta dei pugnali volanti (2004). Tuttavia, rispetto ai precedenti, come è logico, pecca di originalità, almeno per quanto riguarda la trama. Anche il tema della redenzione dell’eroe, in questo caso un’eroina, che da crudele e spietata scopre nell’amore una ragione per cambiare la propria esistenza, è un argomento già affrontato nella letteratura come nel cinema.

Restano tuttavia impressi alcuni aspetti molto significativi: innanzitutto la bravura del cast selezionato dai registi e dai produttori. Inoltre, l’intreccio è ricco di colpi di scena credibili e ben riusciti fino all’atto conclusivo. Infine, il già citato tema della confusione d’identità, tanto caro a John Woo, conferisce al film una profondità di riflessione maggiore rispetto ad altri dello stesso genere.

In conclusione, tra combattimenti, effetti speciali, azione e buoni sentimenti, i registi creano i presupposti per un film appassionante e coinvolgente, pur se non particolarmente originale. Insomma, da vedere, possibilmente al cinema, con una buona dose di pop corn e la certezza di divertirsi.

Daniele Leone

[youtube]http://youtu.be/3ZiadQNjU00[/youtube]

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