
L’iran e la guerra segreta (ma non tanto) sul nucleare
Aggiunto da PlinioL il 15/01/2012.
Tags della Galleria Esteri, Meridiani e Paralleli, Primo piano
Tags: ahmadinejad, Amir Mizna Hekmar, ayatollah, centrale nucleare, Cia, commissione europea, Dubai, embargo, Emirati Arabi, Fordow, Giethner, IAEA, INEGMA, iran, Israele, khamenei, Medvedev, mossad, mostafa ahmedi roshan, Mujaheddin Jalq, Natanz, nucleare iraniano, Obama, OEA, Parigi, Russia, Saddam Hussein, Shimon Perez, Stars, Stati Uniti, stretto di Hormuz, Stuxnet, Tel Aviv, Theodore Karasik, unione europea, virus
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Mostafa Ahmadi Roshan
TEHERAN – Il 2012 si presenta con una situazione internazionale quanto mai incresciosa. Una crisi economica dalla quale tutti fanno fatica ad uscire e conflitti geopolitici pronti ad esplodere come bombe ad orologeria. Il fulcro ancora una volta è rappresentato dal Medio Oriente, che con le sue tensioni, rischia di divenire il catalizzatore di scontri, che potrebbero offrire soluzioni “semplicistiche” per la risoluzione dei problemi. Gli avvenimenti in Siria, gli esiti della Primavera Araba e la questione del nucleare iraniano tengono banco, presentando una situazione i cui esiti sono sicuramente di difficile lettura. Ed è approfondendo quanto stia accadendo a Teheran che si vuole fornire una chiave di lettura, che sicuramente parziale, cerca di offrire qualche chiarimento.
La situazione politica domestica del gigante persiano non è facile. La leadership di Ahmadinejad è in crisi da oltre due anni (ricordate gli scontri in piazza?), e lo scontro con la guida suprema, l’Ayatollah Khamenei, è alto. A marzo ci saranno le prossime elezioni parlamentari dall’esito quanto mai incerto. Appare però costante, da anni a questa parte, il tentativo della politica iraniana di distogliere l’attenzione dai problemi interni, focalizzandosi e puntando su una escalation dei conflitti esterni. Una strategia alla quale, secondo il direttore del centro analisi militari INEGMA in Dubai, Theodore Karasik, le potenze, che dal 2002 cercano di fermare la politica nucleare dell’Iran, hanno risposto optando per una guerriglia, basata su diserzioni (ricordiamo che la stessa CIA dal 2005 ha lanciato un programma chiamata “Brain Drain” – Fuga di cervelli – volto ad attrarre coloro che in un modo o in altro potevano avere informazioni sul programma nucleare) e sabotaggi, culminanti in una serie di attentati, probabilmente ritenibili solo la punta visibile dell’iceberg.
Una guerra tra spie, insomma, condotta da un lato con annunci pubblici ad effetto (l’ultimo episodio si è verificato con l’annuncio da parte di Teheran dell’arresto di Amir Mirza Hekmati, cittadino statunitense di origini iraniane, accusato di lavorare per la CIA, e condannato a morte – la cui sentenza non è stata ancora eseguita), dall’altro con attacchi subdoli, quali possono essere quelli terroristici verso i civili.

Amir Mirza Hekmati
L’ultimo caso è quello di Mostafa Ahmedi Roshan, un ingegnere chimico di 32 anni, professore all’Università di Teheran e direttore del dipartimento acquisti della centrale di arricchimento di uranio di Natanz. L’identità e le mansioni della vittima sono state confermate dall’organizzazione dell’Energia Atomica (OEA) iraniana, mentre il vice governatore di Teheran, Safar Ali Baratlu, non ha avuto esitazioni dichiarando che si tratta di un attacco terrorista, che ha previsto l’utilizzo (ed il ritorno visto l’utilizzo durante la seconda guerra mondiale) di una bomba adesiva. Anche se il numero degli attentati è molto basso in Iran (il Paese è infatti dotato di un ingente apparato poliziesco a difesa del regime teocratico), gli attacchi degli ultimi due anni hanno colpito personaggi legati al programma iraniano di arricchimento dell’uranio. Con quest’ultima morte, il numero degli assassinati sale a quota quattro: il primo fu lo scienziato ucciso nel gennaio 2010, Masud Ali Mohammed, professore di fisica, al quale sono seguiti poi: Majid Shahriari, professore e fondatore della Società Nucleare dell’Iran; Dariush Rezaineyad, specialista di fisica nucleare; e Hasan Tehrani – Moghaddam, generale e capo del programma missilistico dei Pasradan.
Il governo ha reagito all’ultimo attentato confermando l’intenzione di andare avanti. Nessuna marcia indietro, insomma, per un programma che sta diventando il principale motivo di sopravvivenza del regime. Intanto, a conferma di quanto dichiarato l’8 novembre 2011 dalla IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), che ha confermato l’avvio della produzione di uranio arricchito al 20% (e adatto quindi a scopi nucleari) da parte dell’Iran, Ahmadinejad ha annunciato la messa in moto della centrale nucleare di Fordow, l’installazione “segreta” per l’arricchimento dell’uranio, scoperta nel 2009.
Esplicitamente fino ad ora ad essere ritenuto responsabile degli “incidenti” è il Mossad (Servizio Segreto Israeliano). A conferma di quanto sostenuto dagli iraniani c’è il precedente caso del virus Stuxnet (il primo worm capace di spiare e riprogrammare pc industriali), che colpì la centrale nucleare di Natanz ed il caso del virus Stars, che sembrano essere partiti da Tel Aviv. Circolano voci, poi, sul fatto che lo stesso Mossad abbia reclutato oppositori del regime iraniano all’estero, spacciandosi per agenti della CIA, sotto il muso della CIA stessa! Rimane non secondario il problema degli esecutori. Anche se le operazioni si pianificano a Tel Aviv, non c’è alcuna sicurezza su chi porti a termine tali missioni sul campo. Alcuni parlano di gruppi interni, dissidenti al regime, tra i quali i Mujaheddin Jalq, che furono i primi a rivelare l’esistenza del programma iraniano del nucleare e con una lunga serie di attentati sulle spalle.
Tutto ciò non può far altro che far salire la tensione con Israele. Il Presidente Shimon Peres, 88 anni, ha infatti dichiarato alla stampa di ritenere il suo Paese sempre più vicino all’opzione militare per affrontare la minaccia nucleare Iraniana. Secondo Perez, infatti, l’Iran è lontano solo sei mesi dal raggiungimento del proprio obiettivo. A pesare, però, sulle scelte di Israele è la difficile situazione geopolitica, visto che un attacco potrebbe causare una reazione a catena di quei Paesi in aperto conflitto con Tel Aviv da moltissimi anni. Da non dimenticare, inoltre, che voci su possibili attacchi all’Iran circolano dal 2009, quando il Wall Street Journal pubblicò l’articolo “The Iran Attack Plan” che prevedeva l’utilizzo di una bomba, la Gbu – 28, precedentemente sviluppata per colpire in profondità i bunker di Saddam Hussein.
Ed una situazione del genere non può, ovviamente, essere esente da ripercussioni sul migliore alleato di Israele: gli Stati Uniti.
La caduta nei primi giorni di dicembre 2011 di un drone americano sul territorio iraniano causò molte preoccupazioni, dovute al timore che tale episodio potesse confermare l’implicazione degli USA in operazioni segrete. La Casa Bianca non ha commentato l’accaduto, anche se fonti interne confermavano che il drone fosse caduto per un problema tecnico, mentre era intento a fotografare obiettivi strategici.

Chavez e Ahmadinejad
Ufficialmente, l’America, sebbene non ritenga escluse operazioni militari contro Teheran, sta continuamente cercando di sfruttare le vie diplomatiche per risolvere il caso e creare attorno al gigante persiano un isolamento diplomatico. Il Segretario del Tesoro americano, Geithner, infatti, ha viaggiato in Asia, per convincere i principali acquirenti del greggio iraniano a cambiare fornitore, in modo da aumentare l’isolamento internazionale di Teheran. E per ovviare a ciò, Ahmadinejad, è partito alla volta della America Latina per rafforzare i legami con alcuni paesi, in chiave anti americana. Prima tappa Caracas, seguiranno Nicaragua, Cuba, Ecuador.
Tutto sembra confermare, insomma, che l’Iran abbia scelto la via del confronto diretto, soprattutto per le ragioni interne cui accennavamo sopra.
Il presidente americano Obama, nel frattempo, ha lanciato nuove sanzioni verso la Banca Centrale Iraniana, facendo circolare l’ipotesi di un embargo sul petrolio. La reazione di Teheran al possibile embargo ha avuto il “merito” di spostare il confronto con gli USA sullo Stretto di Hormuz, dove passa circa un quinto del petrolio mondiale, e che l’Iran ha minacciato di chiudere. E le possibili conseguenze di un tale atto sono perfettamente immaginabili. Anche se intanto arriva la notizia dagli Emirati Arabidella costruzione di un oleodotto che fornisca un percorso alternativo allo Stretto di Hormuz, fornendo così una via d’uscita per aggirare il problema.
La marina iraniana ha effettuato a scopo dimostrativo dieci giorni di esercitazioni nello stretto, con il lancio di missili a lunga gittata, capaci quindi di colpire Israele o le basi USA in Medio Oriente. Ovviamente le minacce iraniane alle portaerei americana che si trova nei pressi dello stretto non hanno lasciato indifferente il Pentagono, che con un suo portavoce, il generale Bill Speaks, ha fatto sapere che gli statunitensi continueranno a dispiegare le proprie navi sul golfo, così come è stato per decenni, trattandosi di operazioni programmate in accordo agli impegni di lungo termine per la sicurezza e la stabilità dell’area.
Ad allentare la tensione, seppure si tratti più di operazioni dall’alto contenuto mediatico, più che diplomatico, sono state due operazioni di salvataggio condotte nello stesso stretto dalla marina americana: hanno salvato prima 13 pescatori iraniani, vittime dell’attacco dei pirati somali, e poi 6 marinai in un vascello che affondava. Ma resta da chiedersi che peso possano avere tali iniziative.
E l’Europa? Parigi chiede alla Commissione Europea nuove sanzioni, con una proposta volta al congelamento dei beni della Banca Centrale Iraniana ed un embargo sul petrolio. Quest’ultima ipotesi è quella che ha scatenato le reazioni più dure da parte di Teheran, che, ricordiamo, ha esplicitamente minacciato di chiudere lo Stretto di Hormuz qualora tali misura vengano applicate. Se l’Europa dovesse imporre l’embargo al petrolio iraniano, la misura, ironicamente, andrebbe a colpire principalmente 3 PIGS importatori del greggio: Grecia (25 %), Italia (13 %) e Spagna (10%) - insomma proprio quei Paesi che affrontano al momento i peggiori esiti della crisi finanziaria. Piove sempre sul bagnato. Sembra però che l’Iran abbia chiesto, tramite conferenza stampa, la ripresa dei negoziati con l’Unione Europea, interrotti da un anno. Una richiesta considerata comunque assolutamente insoddisfacente per i contenuti da parte dei rappresentanti europei.

Dmitri A. Medvedev
Meno tesi i rapporti, invece, con la Russia: la proposta di Medvedev per un piano volto al ripristino della fiducia verso il programma nucleare iraniano piace ad Ahmadinejad, ritenendo il dialogo l’unico mezzo per risolvere le questioni del Medio Oriente. Il gigante russo, infatti, forte della sua potenza militare ed energetica, e della sua influenza nell’area, continua ad offrire un riparo ai persiani, almeno fino a quando i propri interessi saranno tutelati.
Dando uno sguardo d’insieme, sembrano riproporsi delle dinamiche che si ritenevano scomparse da anni. Un ritorno di una guerra fredda non appare più cosi lontano ai commentatori ed il ricordo delle due Super – Potenze che si affrontavano indirettamente attraverso attori minori è ancora fresco. E sebbene sia sempre possibile cercare di leggere il futuro secondo gli schemi del passato, in questo caso la partita è ancora tutta da giocare. Alla ricerca di un equilibrio precario, i cui sviluppi, ancora una volta, toccheranno tutti noi.
Plinio Limata
Foto | http://www.dailymail.co.uk, www.time.com, http://topics.nytimes.com
Perché nella cartina dello Stretto di Hormuz non sono segnati i confini delle acque territoriali iraniane?
La cartina presentata fa semplicemente riferimento al sistema di navigazione dello Stretto di Hormuz, regolato dal TSS (Traffic Separation Scheme).
Per quanto concerne i confini di Iran e Oman nello Stretto, invece, si tenga a mente che lo Stretto è largo nel suo punto più stretto circa 22 miglia marine: pertanto il confine dell’Iran coprirà 11 miglia marine, e quelli dell’Oman i restanti 11.
Vi sono ancora discussioni in merito agli altri punti a causa della presenza delle isolette, dalle quali, secondo le norme consuetudinarie del Diritto Internazionale, dovrebbero partire le acque territoriali di uno stato, e pertanto tali dubbi nel caso specifico, non sono stati mai risolti.