Io sono l’amore, il superamento dell’idea di sé sull’onda della passione

Luca Guadagnino porta sul grande schermo quella che è stata, da più parti, definita la  sua opera più riuscita. Protagonisti: la grande borghesia industriale lombarda, l’amore e un’impeccabile Tilda Swinton

di Daniela Dioguardi

Tilda Swanton e Alba Rhorwacher

La vicenda del nuovo film di Luca Guadagnino (già regista di Melissa P.) si svolge a Villa Recchi, dimora di una delle famiglie più in vista della borghesia industriale milanese, dove Tancredi (Pippo Delbono), primogenito del capostipite Edoardo (Gabriele Ferzetti) e di Allegra (Marisa Berenson), insieme a Emma (Tilda Swinton) e ai loro figli Edoardo junior, detto Edo, (Flavio Parenti), Elisabetta (Alba Rohrwacher) e Gianluca (Mattia Zàccaro) vivono seguendo pedissequamente lo stile di vita proprio della classe di appartenenza. In un complesso di stanze buie, finemente arredate e arricchite da rare opere d’arte, lunghi corridoi, specchi e grandi cucine si tengono formali ricevimenti, si celebrano compleanni e passaggi generazionali, si festeggiano le nuove strategie dell’impresa familiare.

Un giorno, quasi per caso, compare in casa Antonio (Edoardo Gabriellini), stimato amico di Edo, cuoco appassionato di campagna, capace di sintetizzare emozioni in piatti raffinati e genuini.

Per una donna come Emma, scappata dalla prigione sociale della Russia pre-Gorbaciov e approdata a quella più insidiosa e sottile della Milano-bene, fondata sulla menzogna e sull’ipocrisia, l’incontro con Antonio risulterà illuminante, dirompente.

La passione che li travolgerà spezzerà violentemente le certezze, i legami. La Natura diventerà l’habitat perfetto per il loro connubio: da essa Emma partirà per costruirsi una nuova identità mentre Antonio trarrà ispirazione per la sua arte.

Ma tutto ha un prezzo. La relazione fra i due amanti sarà vissuta da Edo come un tradimento: la madre e l’amico, gli unici che ama, legandosi clandestinamente, finiscono per creare un vuoto incolmabile nel suo mondo, già appesantito dalle nuove, inaccettabili politiche familiari.

Tuttavia ci penserà il fato ad aggiungere al puzzle un tassello inatteso che porrà i protagonisti dinanzi alla necessità di una decisione radicale e irreversibile.

Edoardo Gabriellini e Tilda Swanton

La storia raccontata è incentrata sulla figura di Emma Recchi, elegante e diafana donna di mezz’età di origini russe, moglie di un affermato industriale del Nord Italia che l’ha scelta, tempo addietro, come compagna, a causa della sua abbacinante bellezza. Così come accade per una rara e pregiata opera d’arte, Emma ha lasciato la natia Russia per Milano, per Tancredi e per la sua illustre famiglia di cui è divenuta “proprietà”.

Di fatto la donna, nel corso della sua vita matrimoniale, ha svolto in modo encomiabile tutte le funzioni di affiancamento e rappresentanza che si richiedono alla moglie di un magnate: impossibilitata a condurre un’esistenza autonoma, ella ha vissuto di formalità, di ricevimenti e dell’amore per i suoi tre figli che, ovviamente, ha educato innanzitutto secondo l’etichetta di famiglia.

Nonostante ciò, almeno due dei tre ragazzi sono riusciti a preservare un tocco di autenticità il cui punto di forza risiede proprio nel rapporto con la madre.

Edo, il primogenito, è legato a Emma da una profonda complicità: di tutta la famiglia è l’unico a sostenere, nei momenti più intimi, conversazioni in russo con sua madre a cui, così facendo, riconosce unicità e dignità d’esistere.

Elisabetta sarà invece colei che praticamente, più di ogni altro, renderà giustizia al sacrificio di Emma a cui, in un certo senso, riuscirà a far aprire gli occhi. La ragazza, infatti, sarà in grado, sotto la spinta di un amore tanto sconvolgente quanto poco convenzionale, di assecondare le proprie doti e la propria naturale propensione per la libertà, riuscendo ad affrancarsi, senza indugi, dai piani che la famiglia aveva preparato per lei.

La violenta consapevolezza di trovarsi in una gabbia dorata, suscitata dall’incontro con Antonio, cuoco contadino, poco incline al compromesso e in grado di condensare nei suoi piatti quella passione e quell’autenticità che la donna considerava perdute, porteranno a Emma verso una strada senza ritorno.

La Natura a cui ella sarà riportata grazie alla relazione con il timido cuoco, la metterà in contatto con la purezza delle passioni e con l’ ancestrale innocenza delle origini, delle sue origini: tale nuova dimensione le permetterà, così, di destrutturarsi, di creare una nuova irreversibile identità che accoglierà a piene mani, nonostante il prezzo da pagare sia elevatissimo. Ma se l’amore implica rinuncia e rinnegazione allo stesso tempo è in grado di cancellare ripensamenti e sensi di colpa.

Quando la vita di Emma sarà stravolta da una fatalità agghiacciante, in grado di inibire ogni evoluzione e ogni slancio vitale, la scelta ricadrà, in modo quasi sorprendente, sull’amore che si paleserà, quindi, in tutta la sua dirompenza e nel suo magnifico potere di redenzione.

Il regista Luca Guadagnino

Quello che Luca Guadagnino rappresenta, a sua stessa detta, è un melodramma sociale. In primo piano, infatti, non ci sono solo i sentimenti e le dinamiche e interpersonali ma anche e soprattutto un intero microcosmo, quello dell’alta borghesia industriale italiana. Per un regista per il quale l’estetica è sostanza la ricostruzione fedele del contesto risulta essenziale: non stupisce, allora, il fatto che un lungo e meticoloso lavoro sia stato fatto per ricreare i fastosi quanto ombrosi interni borghesi tali da far risaltare l’opulenza, l’oppressione di una famiglia che vive costretta dalle proprie tradizioni e il conseguente isolamento di una donna che vive prigioniera nel suo ruolo di donna e di madre.

E poi Milano, innalzata a rappresentazione di un mondo. Ripresa spesso dall’alto, in tutta la sua imponenza monumentale, con i suoi grandi edifici, le facciate eleganti dei suoi palazzi, le gru dei cantieri, la città si presenta come la sintesi di una metropoli moderna, industriale, in perenne trasformazione. Quella stessa trasformazione che, quasi inconsapevolmente attraversa anche l’alta borghesia del Nord, apparentemente fondata su codici d’onore immutabili ma praticamente intenzionata ad abbandonare l’idea di una missione nobile, per sposare la logica del compromesso e del denaro a tutti i costi. Edo, nel film, sarà di fatto l’ultima vera incarnazione dell’”etica nobile” del potere, destinata inesorabilmente a soccombere dinanzi alla logica schiettamente lucrativa di suo padre Tancredi e di suo fratello Gianluca.

Ma quel che davvero rimane del film è altro. Il disintegrarsi della gabbia dorata di Emma  dinanzi agli scenari bucolici che rappresentano il regno di Antonio, la luce e la brezza dell’incantecole campagna ligure in cui prende forma la relazione fra i due ci fanno apparire il loro amore come necessario, inattaccabile, al di là del bene e del male. Ma soprattutto ci convince del fatto che, in fondo, tutto ciò che cerchiamo è fuori. Fuori dai tracciati delle regole c’è l’amore. Fuori dalle quattro, asfissianti mura di casa c’è la vita.

 

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3 Risponde a Io sono l’amore, il superamento dell’idea di sé sull’onda della passione

  1. avatar
    Antonio Carulli 19/03/2010 a 12:36

    Come sempre la scrittrice di questa recensione è di una bravura tale che mi spinge ad acquistare subito il biglietto del film.
    Grazie

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  2. avatar
    Adriano Ferrarato 19/03/2010 a 12:45

    Ottima recensione!!Quello che più emerge in effetti è il contrasto tra l’opulenza e la libertà personale. Come sosteneva Max Weber l’economia,la logica personale e soprattutto le necessità del guadagno e del prestigio hanno reso l’uomo schiavo e prigioniero all’interno di una gabbia d’acciao che impedisce a tutti di cogliere appieno il vero senso della vita. Perfetta la scelta del’ambientazione, in tema con il carattere borghese del film. Dove più che altro, si nota ancora una volta, e questa pare una tendenza sempre più diffusa tra i registi italiani, a trasmettere al pubblico l’idea di una perdita di senso, di identità, e l’importanza di ritrovare le proprie radici. Chi di recente ha visto “Baciami ancora” o il freschissimo “Mine vaganti” non dovrebbe avere alcuna difficoltà a comprendere proprio questa continua ricerca. Che per tutti noi è un insegnamento altamente morale e un monito a non dimenticarci mai di noi stessi e di chi siamo veramente.

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  3. avatar
    Francesco Guarino 24/03/2010 a 17:11

    Rappresentazione molto suggestiva, mi ha incuriosito. Per dirla con parole mie: che sia arrivato finalmente un film italiano che non è l’ennesima ciofeca iperpubblicizzata e malrealizzata?

    Rispondi

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