Intervista a Manuela Salvi, celebre autrice di libri per ragazzi

Manuela Salvi è una celebre autrice per ragazzi, ma anche la fondatrice di un'agenzia letteraria per autori non affetti da adultità

Manuela Salvi (www.editoriaragazzi.com)

Manuela Salvi (www.editoriaragazzi.com)

Classe 1975, Manuela Salvi ha inviato il suo primo racconto ad una casa editrice – la Mursia – all’età di dodici o tredici anni. Quel racconto non è mai stato pubblicato ma, da allora, Manuela non ha mai smesso di scrivere. Né di occuparsi di bambini: ha fatto il clown, Babbo Natale, la Befana, il pirata nei reparti pediatrici, nei campi estivi, nei centri commerciali e alle feste di compleanno. Nel 2000 si è laureata all’Isia di Urbino, la notissima scuola di grafica. Nel 2003 ha fondato Cactus Studio, che si occupa di grafica, musica ed editoria. Nel 2007 ha lanciato il portale www.editoriaragazzi.com, un’agenzia letteraria per esordienti – autori e illustratori -. Fra i suoi numerosi libri ricordiamo: «Nei panni di Zaff» (2005, Fatatrac), «Cosa c’è di più importante di uno scooter?» (2008, Mondadori Ragazzi), «E sarà bello morire insieme» (2013, Mondadori).

1)    Quando si parla di letteratura per ragazzi si “tende a confondere tutto in un calderone, che diventa un genere oscuro e indistinto. Dentro questo calderone si confondono i bambini di 4 con quelli di 9 anni, i ragazzini di 11 con gli adolescenti di 15” (Bianca Pitzorno). Per te, che cos’è la letteratura per ragazzi e cosa rappresenta?

La letteratura per ragazzi è l’unica letteratura definita dal lettore, prima di tutto. Non è un “genere” ma un tipo di letteratura che viaggia per conto proprio e contiene molti generi al suo interno. Dovessi darne una definizione, potrei dire che è quella letteratura in cui i protagonisti non hanno mai più di 17 anni, la posta in gioco è sempre l’identità personale in un mondo che vi si oppone, e l’approccio narrativo considera le capacità del lettore di leggere e comprendere una storia. Cosa rappresenta, invece, è un discorso a parte. È innanzitutto un terreno ideologico immenso, in cui si dibatte su cosa sia l’infanzia e su quali valori bisogna trasmettere ai bambini e ai ragazzi. Rappresenta a mio parere lo specchio esatto e limpido delle cultura in cui viene prodotta, e ne svela quindi le falle, i pregiudizi, le paure, le aspirazioni.

Alcune illustrazioni dell'albo "Nei panni di Zaff" (www.iltrabiccolodeisogni.it)

Alcune illustrazioni dell’albo “Nei panni di Zaff” (www.iltrabiccolodeisogni.it)

2)   Sulla tua bacheca Facebook hai scritto un post sulla necessità di spiegare il concetto di “normalità”, riferendoti alle parole di un’adolescente che, dopo aver ascoltato la lettura dell’albo illustrato “Nei panni di Zaff” – che tratta l’omosessualità – ha dichiarato: “Non si dovrebbe parlare di certe cose ai bambini piccoli, perché i gay comunque non sono normali”. Ti va di spiegarci il tuo concetto di normalità?

La normalità è quel valore astratto che viene utilizzato di epoca in epoca per giustificare i pregiudizi della maggioranza. Quello che viene considerato “normale” serve in pratica a far sentire anormali le minoranze oppure a costringere le persone, in generale, a uniformarvisi senza porsi troppe domande. Quindi potrei dire che la normalità non esiste, è solo la maschera gretta del conformismo.

3)    Secondo te si può trattare di tutto in un libro per bambini o ragazzi?

“Tutto” è un concetto forse vago. Posso dire che secondo me nei libri per ragazzi si può e si deve parlare con onestà di tutto ciò che riguarda i ragazzi direttamente o che li potrebbe riguardare in un futuro prossimo. Le cosiddette “cose della vita”, insomma, da cui nessuno è immune.

4)    In che cosa sbagliano, a tuo parere, i genitori italiani nell’educazione dei figli?

Non mi sento di giudicare, anche perché poi ogni genitore fa caso a parte. Ma di certo noto delle differenze sia tra l’educazione di oggi e quella degli anni ’70, in cui sono cresciuta, e sia tra l’Italia e gli altri paesi europei, in particolare l’Inghilterra dove ho vissuto per tre anni. Mi sembra in generale che la famiglia italiana contemporanea divinizzi il bambino, che è al centro di ogni dinamica interna ed esterna, ma allo stesso tempo lo imprigioni in una vita poco autonoma e molto sorvegliata. Questo crea diversi problemi, a mio parere: individui deresponsabilizzati e incapaci di gestire tempo e spazio senza la mediazione costante degli adulti, madri/donne per niente emancipate ma abnegate nel ruolo tradizionale anche quando lavorano, famiglie in balìa dei bisogni indotti dei bambini. E sottolineo indotti. Perché poi sui bisogni reali ci sarebbe da fare un discorso a parte.

Mi piace sempre ricordare che prima dell’istruzione obbligatoria i bambini entravano nel mondo degli adulti da subito, diventando abili artigiani, artisti, marinai, lavoratori a soli quattro, cinque anni. Condannare un individuo alla dipendenza e alla passività con la scusa che “é piccolo” significa sottrargli anni preziosi di sviluppo intellettuale e fisico. La Storia dimostra che i bambini sono capaci di grandi cose, soprattutto sono capaci di essere responsabilizzati, ma sembra che nella nostra società siano destinati a restare ai margini, coccolati e viziati ma senza reali capacità decisionali. E questo per me è un sopruso a cui i genitori stessi dovrebbero ribellarsi.

Manuela Salvi (www.youtube.com)

Manuela Salvi (www.youtube.com)

5)    Nel manuale “Scrivere per ragazzi” attacchi autori come Federico Moccia (Tre metri sopra il cielo, 1992 poi 2004) e Volfango De Biasi (Come tu mi vuoi, film d’esordio del 2007) perché utilizzano stereotipi femminili come la seduzione per “vendere” meglio i loro prodotti. Ma perché le adolescenti ci cascano ancora? Secondo te la loro fragilità emotiva dipende dalla famiglia, dalla società o dalla scuola?

Più che di fragilità emotiva forse parlerei di crisi di identità. Essere donne oggi, in Italia, non è semplice. Siamo divise tra la spinta del mondo globale, che ci vuole istruite e dinamiche, e un ritorno allarmante all’idea di famiglia tradizionale, che ci vuole disposte a qualsiasi rinuncia. Non sottovaluterei il potere immenso dei messaggi mediatici, soprattutto in una cultura come la nostra in cui il visivo è preferito alla parola scritta. La televisione, e in particolare il trentennio appena trascorso, ha creato grandi danni e rallentato il nostro sviluppo sociale con un’idea conformista dei ruoli maschili e femminili. Questa tendenza è resa evidente da cosa si propone alle bambine fin dalla prima infanzia: una manipolazione ideologica della fiaba classica, in cui il modello della principessa è reso appetibile da abili giochi di marketing. Le bambine cominciano a identificarsi e ad associare l’idea di femminilità a quella di bellezza passiva a scopo matrimonio promulgata dalle loro eroine.

Un esempio per tutti: Frozen. Se Elsa fosse stata un maschio, con i suoi poteri del ghiaccio sarebbe diventata un supereroe seduta stante. Ma siccome è una principessa, deve moderare, nascondere, controllare ciò che la rende speciale a causa del senso di colpa. Direi che qui c’è una collezione di stereotipi così lunga che per analizzarli tutti ci vorrebbe uno studio accademico. Quel che è certo è che se io avessi una figlia oggi, sarei molto critica verso i modelli in rosa che vengono proposti alle bambine. Al marketing fa comodo avere generazioni intere di persone passive e irrigidite in dei ruoli-maschera: così si vendono i prodotti più facilmente che a persone originali e imprevedibili.

6)    Quali sono i modelli alternativi positivi da proporre agli adolescenti di oggi?

È impossibile proporre modelli alternativi se non si spegne la TV. Lo spazio mediatico concesso alla mediocrità (artisti mediocri, professionisti mediocri, personaggi mediocri) spazza via qualsiasi tentativo di proporre la diversità. Eppure modelli alternativi ci sarebbero. Ora mi verrebbe in mente Malala Yousafzai, che a 17 anni ha già vinto il Nobel per la pace e dimostra quanto i ragazzi siano capaci di grandi gesti e di grande coraggio. Ma anche Miloud Oukili, che faceva il modello a Parigi e ha deciso di imparare l’arte dei clown per andarla a insegnare ai bambini rumeni che vivono nelle fogne. Di esempi ce ne sono centinaia. Il problema è che hanno spazio mediatico zero.

Manuela Salvi (www.ipool.it)

Manuela Salvi (www.ipool.it)

7)    Sei molto critica nei confronti delle fiabe che, secondo te, non dovrebbero occupare un ruolo di primo piano nell’educazione dei bambini. Quale posto dovrebbero occupare? Non bisogna più leggere favole ai bambini?   

Prima distinzione: fiabe e favole. Le fiabe sono quelle con gli elementi magici (principesse, orchi, eccetera), le favole invece hanno come protagonisti degli animali (le favole di Esopo, per esempio). Poi, una seconda distinzione. Le fiabe classiche sono cruente, perché insegnavano valori precisi in una società poco alfabetizzata. Se vogliamo parlare delle fiabe originali di Andersen e dei fratelli Grimm, io sono d’accordo. Leggiamole senza edulcorare. Il problema è che gli adulti non vogliono che la Sirenetta muoia, alla fine. Disney ci ha abituati al lieto fine e quindi siamo convinti che le fiabe giuste da leggere ai bambini siano quelle rimaneggiate dove il messaggio di fondo è che sposare un principe conosciuto due giorni prima sia garanzia di felicità. Ecco, su quest’ultime io mi esprimo con durezza. Sono infarcite di stereotipi, di valori tipici del consumismo (i bei vestiti, i principi ricchi, i bei castelli), e veicolano un’idea di bellezza che trovo superata: non esistono principesse brutte, grasse, goffe, o semplicemente realistiche. Esaltare il valore della bellezza come arma di seduzione con bambine che si affacciano appena alla vita e devono decidere che persone diventare, beh, io lo trovo un crimine vero e proprio.

Mariangela Campo

@MariCampo81

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