Il tentato golpe in Ecuador. Io c’ero

La rivolta della polizia, il sequestro del presidente Correa, e gli avvenimenti in strada

di Plinio Limata

Il 30 settembre i giornali di tutto il mondo davano la notizia di un tentato golpe in Ecuador. Le letture che ne sono state date divergono in alcuni casi sulle cause scatenanti degli avvenimenti. Alcune fonti di informazione hanno preferito abbassare i toni, focalizzandosi sull’elemento originario dei tumulti della giornata: la rivolta della polizia. Il motivo ufficiale? I tagli di alcuni bonus economici per la categoria. Bisogna però ricordare che, oggi, nel corpo di polizia l’ultimo arrivato guadagna quanto guadagnava 4 anni fa un poliziotto con 5 anni di esperienza. I salari insomma sono duplicati, eppure il malcontento nasceva da una legge in discussione nell’Asamblea Nacional. Altri media hanno invece parlato apertamente di un tentativo di colpo di Stato e, a dirla tutta, era questa l’aria che si respirava in strada.

D’altronde l’ipotesi di mandanti neppure tanto oscuri dietro quanto accaduto non è stata assolutamente nascosta, lo stesso presidente ecuadoriano ha pubblicamente accusato alcuni membri dell’opposizione. Tra questi l’ex presidente e colonnello Lucio Gutierrez che, dalla sue residenza a Brasilia, ha ovviamente smentito. Ed al di la delle notizie che sono state ampliamente riportate, quello che stavolta voglio raccontarvi è semplicemente quello che ho visto in strada, a contatto con la gente. Al termine della giornata, quando l’ordine è stato ristabilito, il presidente Correa ha pronunciato testuali parole: “Oggi è un giorno triste per il Paese. È probabilmente uno dei giorni più tristi della mia vita, ma sicuramente il piu triste per il mio governo”. Eppure io vi dico che per quello che ho visto, il 30 settembre, è stato un gran giorno per il popolo ecuadoriano, per il Paese e per la democrazia.

Immagine dei disordini in città

I FATTI IN BREVE - Nelle prime ore del mattino, nella città di Quito, il reggimento Quito insorge dando vita ad una protesta che si allarga presto anche ad altri reggimenti, e che si protrarrà fino all’intervento in serata dei militari. La protesta della polizia prende vita non solo nelle caserme della Policia Nacional, ma si diffonde anche nelle strade, dove si raccolgono poliziotti e alcuni civili che sostengono la mobilitazione. Fino a questo momento, la situazione per quanto critica rimane stabile. È con la visita del presidente Correa al reggimento Quito che la situazione precipita. Questi, accorso per instaurare un dialogo con i corpi di polizia, viene infatti ferito nel caos che nasce dal lancio di lacrimogeni da parte di alcuni riottosi. Il Presidente, che pare sembra sia stato anche colpito con bottiglie, viene cosi trasferito all’Ospedale della Polizia per ricevere le cure mediche necessarie. Qui vi rimarrà fino alle 21,  quando verrà “liberato” al seguito di un’operazione militare. Intanto la situazione degenera. Con lo spargersi della notizia del presunto sequestro del presidente, la gente  ha iniziato a scendere in strada riunendosi in numerose zone della capitale. Le aree principale di riunione diventano la Plaza de la Indipendencia, sede del Palazzo Presidenziale, e i dintorni dell’Ospedale, dove si trova Correa. Mentre la prima ha visto il raggrupparsi di persone per dar vita ad una protesta pacifica contro la polizia, è stata la seconda il principale teatro degli scontri.

IL RACCONTO – La mia giornata “inizia” alle 13.20. Mi trovavo al ministero del Commercio e delle Relazioni Estere, e durante tutta la mattina ci è stato impedito di uscire a causa degli scontri che iniziavano nelle strade. È decisamente ironico trovarsi di fronte ad una rivolta che nasce dalle forze dell’ordine, proprio da loro che dovrebbero essere i pompieri che sedano il fuoco delle rivolte e che, in questo caso, erano la miccia. Ed è sicuramente strano trovarsi a far parte di una contro protesta non nata da un malcontento popolare ma soprattutto materiale, idea a cui siamo molto più abituati, ma che reclama a voce alta la difesa della democrazia, i suoi valori, ed il presidente della Repubblica che li rappresenta.

Mi era stato riferito da alcuni funzionari la paura di una imminente guerra civile. Sinceramente non potevo crederci, soprattutto vista la totale assenza di segnali premonitori. Ma quando le porte sono state finalmente riaperte, tutto intorno sembrava differente. L’aria era satura dei fumi dei pneumatici lasciati bruciare nelle strade, i segni di una rivolta erano li, eppure una strana quiete dominava l’atmosfera. Negozi e banche chiuse, neppure l’ombra di alcuna forza dell’ordine e un silenzio da far sembrare tutto in stand by, persino le poche persone che si potevano incontrare. Il ministero si trova in una parte della città che ha visto solo l’inizio della protesta, ma non i suoi sviluppi. Obbligatorio muoversi per cercare di capire.

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