
Il sorriso del delfino, l’inganno della natura. Stop ai delfinari
Chi di noi non è stato almeno una volta in un delfinario o in un parco acquatico? Non è insolita l’immagine di pargoli che, accompagnati da genitori contenti di condividere con la propria progenie un momento divertente ed istruttivo, si dirigono in queste strutture “per famiglie”.
Eppure, lo scorso 28 giugno si è tenuta a Bruxelles, a Place Victor Horta, dinanzi alla sede dell’Health, Food Chain Safety and Environment, una manifestazione per chiedere la chiusura di tutti i delfinari europei.
Perché mai?
Stando a quanto fa sapere l’Enpa (Ente Nazionale Protezione Animali), delfinari e zoo possono ottenere l’autorizzazione alla detenzione di mammiferi marini se effettuano attività di ricerca, conservazione ed educazione. Nulla a che vedere con quanto avviene nei delfinari, dove si realizzano spettacoli con musica assordante ed iniziative tutt’altro che educative e di ricerca. Precisa Ilaria Ferri, direttore scientifico dell’ente, che «si tratta di show degradanti per gli animali, costretti ad esibirsi in atteggiamenti innaturali e non rispettosi delle esigenze socio-etologiche proprie della specie; atteggiamenti ottenuti attraverso un addestramento basato sulla deprivazione alimentare. Tali show […] ripropongono una visione antropocentrica per la quale gli animali possono essere privati della libertà e sfruttati per il divertimento umano».
Accade anche che per una foto o un bagno con questi cetacei, si crei e reiteri il contatto con gli umani. In Italia tale eccessiva prossimità è vietata dal Decreto Ministeriale 469/2001 “sul mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus”, in virtù del rischio di trasmissione di patologie.
In prima linea tra i 500 attivisti presenti a Bruxelles, oltre all’ENPA, vi era Richard O’Barry, ossia quello che è stato l’addestratore del delfino Flipper, protagonista dell’omonimo serial americano degli anni Sessanta. L’approccio di O’Barry a tali mammiferi è cambiato radicalmente quando uno dei cinque delfini che interpretavano il ruolo di Flipper si “suicidò”, inabissandosi e smettendo di respirare. A distanza di anni, O’Barry ha messo a rischio la propria incolumità per girare il documentario The Cove, vincitore del premio oscar nel 2010, documentando gli orrori della mattanza dei delfini nella baia di Tajij (Giappone), dalla quale provengono molti degli esemplari rinchiusi nelle vasche di tutto il mondo.
Affinché i nostri bambini possano vederli saltare, giocare e “sorridere” in contesti artificiali quali quelli dei parchi acquatici, vengono recise le maglie della struttura sociale nella quale gli esemplari si organizzano per gli spostamenti, la caccia, il gioco, costruendo solidi legami. Si tratta inoltre di animali che, in natura, percorrono quotidianamente centinaia di chilometri, per cui rinchiuderli in piccoli spazi diviene un atto di sopraffazione per fini eminentemente lucrativi.
E non finisce qui. Secondo quanto afferma la Prof.ssa Laura Occhini, psicologa dello sviluppo e docente presso l’Università di Siena, assistere e far assistere i propri figli a spettacoli con animali è altamente diseducativo: «i bambini al circo non entrano in contatto con il mondo animale ma assistono allo stravolgimento della natura stessa di quell’animale ad opera di un addestratore, che utilizza metodi brutali per imporre sottomissione e obbedienza. È quindi una diseducazione al rispetto della specificità della natura di ogni essere vivente e un chiaro messaggio di superiorità violenta».
A fornire un’ulteriore testimonianza di quali siano le prassi nei delfinari e di quelle che possono essere le conseguenze sugli esemplari in cattività, è lo spagnolo Ernesto Montero. Ernesto ha lavorato alla produzione di video di promozione turistica nella Riviera Maya, in Messico, dove tra le principali attrazioni turistiche figurano i delfinari.
«Ho fatto un reportage in un delfinario dove vi erano circa 20 esemplari; erano tutti evidentemente malati, avevano come delle occhiaie e se li guardavi negli occhi te lo trasmettevano chiaramente. Il problema è che la gente si sofferma sulla bocca sorridente». Ed è proprio questo il perno del giro di affari, quell’inganno della natura – per citare Richard O’Barry – che crea l’illusione che i delfini siano sempre felici.
«Una ventina di delfini viveva in una piscina di 25 metri, e quando cominciava lo spettacolo, veniva aperto un varco ed una parte di essi si riversava nella piscina-palcoscenico; venivano invece trattenuti [nella vasche di mantenimento] quelli che presentavano segni di apatia o di aggressività».
Altra grande attrazione, continua Ernesto, è il bagno con i delfini, per il quale soprattutto gli americani pagano volentieri 120 dollari.
«È un paradiso naturale eccezionale, ma quando vedi quello che ho visto io ti chiedi in che tipo di paradiso ti trovi; lo scenario artificiale che balza agli occhi occulta una realtà che fa pensare. Una delle cose che più mi ha impressionato è il numero di gente con figli piccoli presente a questi spettacoli».
Altro dato allarmante segnalato da Ernesto è che la maggior parte della gente che lavora nei delfinari in questione non è adeguatamente preparata: «gli addestratori sono giovani non professionisti che conoscono solo i segnali per ottenere figure ed acrobazie, ma non hanno la minima idea di come debbano essere trattati i delfini».
La sensazione è che sia importante, per non dire urgente, agire sulle nuove generazioni attraverso l’educazione; è attraverso l’esercizio del rispetto e dell’empatia che si può sperare in un’evoluzione dall’antropocentrismo, oggi imperante, all’antispecismo di cui necessita il nostro pianeta agonizzante. In un anelito universale di amore.
Grazia d.