
Il Nobel per la Pace 2010 è un cinese, che non piace alla Cina
La Repubblica Popolare Cinese contesta le decisioni di Stoccolma
di Redazione
Pechino - «Un’oscenità». Questo il lapidario giudizio del governo della Repubblica Popolare Cinese nei confronti di un riconoscimento che molti Paesi avrebbero salutato con gioia se attribuito ad un proprio cittadino: il Premio Nobel per la Pace 2010. Ma sono proprio le autorità cinesi le prime a perseguitare incessantemente da parecchi anni lo scrittore e professore Liu Xiaobo, appena insignito del prestigioso premio, per il suo impegno nella difesa dei diritti umani e civili che risale al 1989, anno della tragedia di piazza Tienanmen. Processato nel 2009, l’uomo è stato condannato ad 11 anni di detenzione e a 2 di interdizione da qualsiasi pubblico ufficio: l’accusa è quella di «incitamento alla sovversione del potere dello Stato». La decisione di Stoccolma punta nuovamente i riflettori su un caso di violazione delle libertà personali su cui certo il governo cinese vorrebbe mantenere il massimo riserbo, oltre che la minor risonanza mediatica possibile. In questo senso forse non è stata proprio manovra azzeccata e di basso profilo quella di far piombare in casa di Liu Xiaobo le forze di polizia appena saputo del Premio, o censurare immediatamente l’annuncio interrompendo la diretta televisiva della Bbc. La notizia si è comunque diffusa e la moglie del dissidente, oltre a dirsi felicissima per l’assegnazione, ha colto l’occasione per rinnovare la richiesta di scarcerazione del marito. Intanto ci si chiede a chi verrà consegnato materialmente il riconoscimento il prossimo 10 dicembre nella capitale svedese: a tutti piacerebbe poter rispondere direttamente a Liu Xiaobo.
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