Il lavoro, l’articolo 18 e i disoccupati

Roma – L’articolo 18 è l’emblema di un sogno irrealizzato. Come tanta parte della Costituzione italiana e come tante promesse non mantenute della Democrazia nel nostro Paese. Viziato fin dalla nascita nella sua applicazione per i limitati effetti  di tutela sulla forza lavoro , sembra ora quasi ridicolo il rumore che ha scatenato la notizia della sua eventuale abolizione. Piuttosto che un ombrello per proteggere i lavoratori dalle prepotenze arbitrarie dei datori di lavoro, questo articolo fondamentale dello Statuto è stato applicato in modo tale da creare delle disuguaglianze all’interno della stessa forza lavoro. Disuguaglianze dovute in massima parte non tanto alla formulazione di questa parte dello Statuto quanto alla sua attuazione all’interno del mercato del lavoro, visto che la tutela dell’articolo 18 viene applicata solo per i dipendenti che prestano la loro opera in unità produttive con più di 15 dipendenti, o più di 5 nel caso di imprese agricole, anche se l’articolo stesso non fa menzione di numeri. L’articolo 18  dispone in questi casi che, se il dipendente viene licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, questi venga reintegrato nel posto di lavoro, oppure che possa optare per il risarcimento del danno subito.

Il presidente del Consiglio Mario Monti

Il problema allora non è tanto che questo contestato articolo venga o meno modificato o totalmente abolito. I problemi del mondo del lavoro italiano sono ben altri. In primo luogo l’articolo 18, così come è ora, tutela una parte molto esigua dei lavoratori e per certi versi è obsoleto, visto e considerato che rispetto a 40 anni fa il mondo del lavoro è enormemente cambiato. Negli anni ’70, infatti, erano gli operai a rappresentare la maggioranza della forza lavoro che prestavano la loro opera nelle grandi industrie, mentre oggi è il terziario il settore economico maggiormente occupato e quasi totalmente privo di tutela. Oggi sono i contratti atipici a rappresentare le forme contrattuali maggiormente diffuse, mentre il tempo indeterminato è diventato un miraggio e un ricordo dei tempi che furono. L’incertezza del mondo del lavoro italiano e l’arbitrio del 10% dei più ricchi del bel Paese hanno creato più precariato e disuguaglianza sociale di quanto negli anni passati ci si poteva immaginare. Tralasciando le cifre sulla inoccupazione e disoccupazione femminile, giovanile e delle progressive perdite di posti di lavoro, di cui tanto si è parlato negli ultimi tempi, è il caso di mettere l’accento sulla mancanza dello Stato Sociale in Italia. La tanto acclamata Germania, la Francia, l’Inghilterra e persino la Spagna potrebbero darci lezioni di Welfare, infatti, in questi Paesi i giovani vengono mantenuti agli studi dallo Stato (senza quindi pesare totalmente sule famiglie), i lavoratori possono contare sul sostegno statale nei gravi momenti di transizione (che Monti chiama flessibilità) da un posto di lavoro ad un altro, e la lista potrebbe continuare ancora a lungo.

Il problema allora non è tanto proteggere l’articolo 18 o l’intero Statuto dei lavoratori. Il problema è che lo Stato italiano dovrebbe prendersi la responsabilità dei propri cittadini, smettendo di fare le paternali e iniziando a fare il buon padre di famiglia.

Sabina Sestu 

Foto: ecn.org; lastampa.it

Preview: libcom.org

Share and Enjoy

  • Facebook
  • Twitter
  • Delicious
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Add to favorites
  • Email
  • RSS

Ti è piaciuto questo articolo? Fallo sapere ai tuoi amici

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

 
Per inserire codice HTML inserirlo tra i tags [code][/code] .

I coupon di Wakeupnews