Ho conosciuto Lemmy dei Motorhead. E ve lo racconto

Domenica 8 giugno 2003, Gods of Metal al Palavobis di Milano. Ecco come ho conosciuto Lemmy dei Motorhead, e non l'ho più dimenticato

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Lemmy Kilmister (Facebook: Ian Fraser Lemmy Kilmister)

Lemmy è morto. Tutti pensavano fosse immortale, ma anche lui ha dovuto piegarsi al peggiore dei mali. 70 anni compiuti da pochi giorni e una carriera lunghissima e ricca di successi con la sua band, i Motorhead, senza la quale, la storia dell’hard rock e dell’heavy metal non sarebbe la stessa. Fin dalle primissime ore successive alla sua scomparsa, il web si è scatenato con una pioggia di tributi, saluti, ricordi da parte di tutto il mondo della musica e da parte dei suoi innumerevoli fan sparsi in tutto il mondo. Le sua incredibile vita è nota a tutti. Non è il caso di ripetersi con un’ennesima quanto inutile biografia incentrata su quanto Lemmy sia stato importante per il mondo del rock e per tutte le persone che hanno beneficiato della sua musica. Voglio piuttosto ricordarlo così, ritornando con la mente al quell’8 giugno 2003 in cui i Motorhead hanno suonato al Gods of Metal. Il giorno in cui ho conosciuto Lemmy. 

DOMENICA 8 GIUGNO 2003 – Riuscire a chiacchierare per una quindicina di minuti con Lemmy è stato il frutto di un semplice quanto inaspettato colpo di fortuna. Gods of Metal 2003, Palavobis di Milano. Dopo l’esibizione dei Motorhead esco dal palazzetto con la gola in fiamme, in cerca di una birra fresca e un po’ di refrigerio dopo aver sudato al ritmo delle note della band di Lemmy, come sempre devastante dal punto di vista di impatto sonoro. Vagando tra la folla in compagnia di un amico, tra stand di merchandising e riviste del settore, mi imbatto in una ragazza (grazie Sabrina… ovunque tu sia) che ci chiede alcune informazioni su alcune band in scaletta. Mi dice che lavora per una radio. O forse era una tv. Non ricordo.

Dopo averle dato le informazioni di cui aveva bisogno le chiediamo in cambio – ovviamente scherzando -  un autografo di Lemmy, uno dei nostri idoli musicali fin da allora. La ragazza mi risponde con un tranquillo: “Certo. Lasciami il tuo numero di cellulare. Appena ho l’autografo ti scrivo”. Sorrido, pensando che non si sarebbe mai fatta sentire, e torno all’interno del palazzetto per ascoltare la band successiva. Durante l’esibizione dei Whiteshake, headliner della giornata, arriva l’inatteso messaggio: “Troviamoci fuori, ho l’autografo che ti avevo promesso”. Corriamo fuori immediatamente. La ragazza ci porge un pezzetto di carta ciascuno. Su di esso, l’inconfondibile firma di Lemmy.

(Facebook: Ian Fraser Lemmy Kilmister)

BACKSTAGE – La stringo in un abbraccio soffocante, ringraziandola più volte per aver mantenuto la parola. Le chiedo, con un misto di ironia ed esaltazione, di portarmi nel backstage, aspettandomi una scontata riposta negativa. Invece mi prende per mano e mi trascina via di corsa. Il mio amico mi fissa  catatonico mentre mi allontano. Arrivati nel back stage – davanti a due membri della security dal chiaro physique du role – mi dice di aspettarla, che avrebbe fatto il possibile per farmi entrare. I minuti passano uno dopo l’altro. Le sigarette fumate non si contano. Dopo almeno venti minuti esce sorridendo, con un pass in mano (secondo le sue parole il pass di Lemmy stesso), dicendo che posso entrare per un attimo. I due energumeni però non sentono ragioni e non vogliono farmi entrare. In soccorso arriva un roadie dei Motorhead che, tra parolacce e urla, mi fa chiaramente capire – malgrado la mia comprensione dell’inglese non fosse allora molto efficace – che devo entrare, farmi fare il classico autografo, e levarmi dalle scatole al più presto.

LEMMY – Annuisco obbediente e mi fiondo all’istante in un corridoio poco illuminato che alla fine si apre una stanza. Lemmy è seduto a un tavolo con altre due persone, sorseggiando una birra e fumando le sue inseparabili sigarette. Si gira, sorride, saluta, e con un cenno mi fa segno di avvicinarsi. Una cordialità spiazzante per una rockstar di livello mondiale. Mi accomodo su una sedia di fianco a lui, con la timidezza di un bimbo al primo giorno di scuola, e appoggio il pass sul tavolo di fronte a me. Dopo pochi istanti Lemmy si gira verso di me e mi rivolge alcune domande.

Chiacchieriamo per alcuni minuti – troppo pochi purtroppo –  parlando di musica, come se fossimo due amici al bar. Dopo avergli confermato che i Motorhead sono una delle mie band preferite, gli riporto la teoria di un amico, secondo la quale un uomo non potrebbe mai vivere una vita come la sua. Solo un dio potrebbe riuscirci. Lemmy sorride. L’occhio brilla, pregustando una battuta ironica. “I don’t wanna be God. It’s a terrible job”. Scoppia in una risata rauca, prima di fare un tiro dall’ormai terza sigaretta da quando sono con lui. Poi si allunga sulla sedia, e fa un cenno a qualcuno. Rimango imbambolato tentando di razionalizzare quell’incontro così inaspettato. Il flusso di pensieri viene interrotto dallo stesso Lemmy che si rivolge a me chiedendomi il nome. In mano stringe un pennarello indelebile. Passa un attimo e mi ritrovo al grembo il suo pass autografato con dedica. Rispunta la ragazza, macchina fotografica in mano. Il tempo di scattare una foto con uno dei miei idoli e mi viene intimato di andarmene da un membro dello staff. Lemmy mi abbraccia forte, guardandomi negli occhi e salutandomi con un semplice “take care”.

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Una persona semplice. Spontanea. Normale. Questa forse è la straordinaria caratteristica di quella rockstar che rispondeva al nome di Ian Fraser Kilmister, in arte Lemmy. Forse è proprio questo che lo ha reso un’icona immortale, fonte di ispirazione per tutto il mondo del rock duro. Vivere la vita velocemente, tra eccessi di ogni tipo, ma con la semplicità di una persona normale.

Da quell’8 giugno del 2003 ad oggi, ogni volta che ho guardato la fotografia che ritrae il sottoscritto abbracciato a Lemmy mentre salutiamo l’obbiettivo con un’amichevole dito medio, non ho potuto trattenere un sorriso di sincera stima e sorpresa, per l’aver scoperto che una delle più grandi rockstar mai esistite fosse un uomo cordiale ed educato, giocherellone dalla battuta pronta, ma senza nessun tipo di altezzosità da vip. E stasera andrò al bar, e berrò un whiskey alla sua salute. Forse è proprio questo il modo con il quale vorrebbe essere celebrato: con il bicchiere levato, il sorriso sulle labbra e il dito medio alzato. Riposa in pace, Lemmy.

Alberto Staiz

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