
Grecia fuori dall’euro? Ma anche no!
“Bce e Commissione Europea lavorano su uno scenario d’emergenza, qualora la Grecia non possa far fronte ai propri impegni” – a dirlo è il Commissario Europeo per il Commercio, Karel De Gucht. Immediata la smentita della Commissione Europea, che afferma di lavorare su tutte le possibili misure per tenere la Grecia nell’Euro. E numeri alla mano è dimostrabile quanto sia più conveniente aiutare un Paese al risanamento, piuttosto che lasciarlo alla deriva verso il default. È interessante notare allo stesso tempo che fino ad ora sono stati stanziati 393,7 miliardi di euro per Grecia, Portogallo e Irlanda, mentre per le banche dal 2008 al 2010 sono stati 2.864,4 i miliardi stanziati, di cui 1.123,8 utilizzati: 4 volte quanto messo a disposizione dei Paesi!
La veridicità delle affermazioni del Commissario sebbene indebolite dalla smentite ufficiali, è supportata dal fatto che De Gucht è stato il primo a rivelare, nonostante le pressioni, che l’Unione Europea è stata perfettamente al corrente, per anni, di essere ingannata dalla Grecia sulla situazione dei conti pubblici. E ad avvalorare l’ipotesi vi sono le dichiarazioni di Christine Lagarde, Direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, secondo cui l’ipotesi è da tenersi in considerazione per non farsi trovare impreparati. Da aggiungere che l’agenzia di rating Fitch ha declassato nuovamente Atene negli scorsi giorni per il forte rischio di abbandono della zona euro: da B- CCC, appena sopra il livello D, che indica appunto il default.
Al coro si aggiungono altre voci auterovoli. Emblematico è il caso di Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, nonché Keynesiano convinto. Riassumendo, l’economista sostiene che: la Grecia uscirà dall’euro, vi saranno attacchi speculativi alle nazioni europee e trasferimento verso l’economia tedesca (e questo non converrebbe alla Germania ci chiediamo? È lecito chiedersi allora a cosa mirino le politiche economiche di Berlino nel lungo periodo allora…), ed in mancanza di una revisione dell’economia che guardi alla crescita, la fine della zona euro non è più cosi impensabile.
Wolfgang Schäuble, Ministro delle finanze tedesco, ha affermato l’11 maggio che la zona euro sopporterebbe l’uscita della Grecia senza troppi problemi. La sola ipotesi dell’uscita di Atene ha provocato una tempesta nei mercati, spaventati da un contagio a livello continentale. Secondo il Ministro, la situazione della Grecia tocca un problema preciso, che è politico. La soluzione a tutti i problemi potrebbe essere, infatti, data dalla creazione in tempi rapidi di un’Unione Politica, trasformando la Commissione Europea in Esecutivo. Una soluzione sicuramente non facile, visto il tempo che ci è voluto alla creazione di un modello, che oggi appare quanto mai in difficoltà.
Ipotesi G-Euro. È ancora il fronte tedesco a mettere sul tavolo nuove opzioni. Thomas Mayer, capo economista della Deutsche Bank, suggerisce di raggirare l’ipotesi di uscita dall’euro di Atene con la creazione di una moneta chiamata G-Euro: una sorta di euro parallelo di serie B che consentirebbe il pagamento dei debiti di Atene, avendo come effetto collaterale positivo la copertura dei depositi greci in euro, e allo stesso tempo consentendo al Paese di regolare il tasso di cambio, che potrebbe consentire quelle necessarie modifiche strutturali e allo stesso tempo ottenere più liquidità. L’ipotesi sebbene ritenuta possibile non solo dalla Deutsche Bank, ma anche dal 50% delle Banche Centrali europee, incontra però l’opposizione del governo tedesco, nonostante la timida apertura del partito CDU della Merkel.
Grecia. In vista delle prossime elezioni da tenersi il 17 giugno, e sebbene non esista una via legale di uscita dall’Euro, l’Unione Europea è passata alle minacce dirette di espulsione della Grecia, sperando che le pressioni portino alla formazione di un governo capace di agire e rispettare gli impegni presi da Atene, vista la situazione verificatasi dopo la tornata elettorale dello scorso 6 maggio, dimostratesi incapaci di dare vita ad un parlamento incapace di esprimere una maggioranza. Fino ad allora il Premier ad Interim sarà Panayiotis Pikramenos, fino a ieri Presidente del Consiglio di Stato.
Per complicare un po’ le cose, sembra che la Merkel abbia suggerito la convocazione di un referendum per la permanenza della Grecia nella zona euro, da tenersi in concomitanza con le prossime elezioni. La notizia, che era stata diramata dal Gabinetto del Primo Ministro ad interim greco, è stata immediatamente smentita da Berlino, cosi come immediate sono state le reazioni alla supposta ingerenza tedesca, che potrebbe contribuire ancora una volta ad aumentare quel 66% della popolazione che nelle scorse elezioni si era chiaramente espressa contro le misure imposte da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale.
Alexis Tsipras, leader del partito Syriza, piazzatosi secondo alle scorse elezioni con la promessa di ripudiare gli accordi firmati tra UE e Grecia in febbraio, e con buone probabilità di vittoria al prossimo turno, si dice convinto della necessità di cambiare le politiche economiche tanto in Grecia quanto nell’Unione Europea tutta. Il giovane leader ribadisce l’intenzione di rimanere nella zona euro, ma ritiene la questione un problema europeo e come tale questo deve essere affrontato e risolto. Il leader greco invoca il modello Obama, auspicando anche una maggiore struttura federale per l’Europa. Struttura federale che come dimostrato dalla bancarotta della California, è stata in grado di consentire la permanenza della stessa negli Stati Uniti. Tra le misure proposte, Tsipras propone, inoltre, una sospensione dei pagamenti della Grecia all’UE per 3 anni e la nazionalizzazione delle banche: una ricetta questa che non ha mancato di suscitare polemiche, soprattutto tra coloro profondamente scettici verso una politica che sembri non avere altro merito che il prolungamento dello status quo.
La partita da giocare è con Angela Merkel, rimasta oramai l’ultimo baluardo di quelle politiche di austerità che, timorose dell’inflazione, non lasciano spazio a misure volte alla crescita, nel nome del rigore del debito pubblico. La solitudine del Cancelliere tedesco è confermata anche dalle pressioni ricevute nel corso dell’ultimo G8 – tanto che la crescita è stata indicata come assoluta priorità – e dalla notizia che la Francia non firmerà il Trattato fiscale senza che vi sia incluso un pacchetto per la crescita. Una chiara svolta della nuova Presidenza Hollande, che stravolge completamente la precedente linea “Merkozy”. Le prove generali un nuovo equilibrio europeo si sono tenute oggi a Bruxelles, con un vertice dei Capi di Stato per vagliare una la possibilità di una nuova strategia economica che punti sulla crescita. Sul tavolo i 5 punti di Hollande che prevedono: la creazione degli Eurobond, in modo da rilanciare l’idea di un debito solidale; project bond – versione più leggera degli Eurobond e che potrebbero non incontrare l’ostinata contrarietà della Merkel; ricapitalizzazione della Bance Europea per gli Investimenti; riorganizzazione dei fondi strutturali; tassa sulla transazioni finanziarie (su quest’ultimo punto, la novità è l’approvazione della cosiddetta Tobin Tax del Parlamento Europeo con 487 voti a favore).
Le conseguenze dell’uscita della Grecia dall’euro? Parlare di conseguenze certe è praticamente impossibile, tanto che le posizioni sono quanto mai variegate ed incerte: come anticipato, secondo alcuni l’uscita della Grecia dall’eurozona non farebbe poi cosi paura, secondo altri, invece, queste sarebbero imprevedibili.
L’uscita della Grecia potrebbe costarle il 50% del PIL nazionale, con conseguenze che vanno dal default del debito sovrano (ha ancora senso una tale definizione?!?), default societari, crollo del sistema bancario e degli scambi internazionali. Anche il ritorno alla svalutazione della moneta offre ben poche prospettive positive. Nel caso della Grecia, infatti, non è possibile effettuare paragoni con le ultime nazioni andate in default (Russia e Argentina nell’ordine), perché il ritorno alla dracma e la svalutazione di questa non potrebbe assicurare risultati economici positivi, non essendo la Grecia un paese esportatore.
L’unica certezza sembrerebbe riguardare le conseguenze negative che potrebbero abbattersi su quei Paesi che stanno lottando strenuamente contro la crisi come Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia, a causa della mancanza dei sufficienti meccanismi per rendere i prestiti possibili per altri Paesi.
Il piano italiano. Monti è partito alla volta del G8, tenutosi negli scorsi giorni a Camp David, con un piano ben definito: un sistema europeo di garanzia dei depositi bancari, ipotesi che sembra sostenuta dalla Banca Centrale Europea guidata dal connazionale Draghi. L’obiettivo di tali misure (in Italia la garanzia del governo per i risparmiatori copre fino a 103.000 Euro) è evitare le corse agli sportelli in caso di panico finanziario. Tali garanzie in Europa sono tutte uguali ed il timore è che non siano più sufficienti. Da rilevare che in Grecia la tendenza ai prelievi è in aumento, ed il rischio che si allarghi ad altri Paesi dell’Eurozona è al momento considerato molto alto.
Conseguenze per l’Italia. L’esposizione del nostro sistema bancario nei confronti della Grecia è di appena 1,5 miliardi di euro. Si rischiano però due tipi di contagio: da un lato psicologico (corse agli sportelli) e politico (spazio per nuovi populismi), e dall’altro finanziario: l’uscita dall’euro darebbe sicuramente il via ad attacchi speculativi ai mercati dei Paesi più deboli.
Questo secondo le teorie economiche più accreditate e che oggi vanno per la maggiore. Ma se non fosse necessariamente cosi?
La Teoria Monetaria Moderna (Modern Monetary Theory –MMT) di Warren Mosler. Secondo Mosler ed altri esponenti della MMT, la politica di rigore potrebbe essere una vera e propria sciagura per l’Europa.
Alla base di tale convinzione vi è il fatto che gli stati sovrani (ma lo sono ancora?) non possono realmente andare in default, perché governi e banche centrali hanno una capacità pressoché illimitata di coprire i propri disavanzi stampando semplicemente nuova moneta. E poco importa la paura dell’inflazione. Secondo Mosler l’aumento dei prezzi al consumo si verifica quando la massa di moneta è sproporzionata alla quantità di beni e servizi presenti sul mercato, mentre oggi l’attuale crisi europea sarebbe una “crisi di sovrapproduzione”. L’obiettivo principale da perseguire dovrebbe essere la piena occupazione (come dargli torto?!), piuttosto che una austerità che l’economista definisce senza senso. Ed una tale politica avrebbe sicuramente il merito di evitare una implosione dell’Unione Europea.
Che ne dite? Proviamo a tenerla in considerazione?
Plinio Limata