Governo tecnico. Anche Napolitano ne è convinto: non si può fare

napolitano

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

Roma – Che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sia un pilastro istituzionale in tempi di debolezze politiche italiane ed europee, è fuor di dubbio. In questo senso, si può leggere il giro di audizioni che il Capo dello Stato ha organizzato con i rappresentanti di quasi tutti i partiti di maggioranza ed opposizione per valutare la possibilità di attuare un governo tecnico in sostituzione di quello Berlusconi.

Lo scopo era verificare se c’era un’intesa bipartisan per un Esecutivo d’emergenza nell’emergenza della crisi dei mercati e dell’Eurozona al fine di attuare rapidamente i provvedimenti di rinnovamento promessi la scorsa settimana all’UE. Non c’è.

Napolitano ha constatato che non solo non esite la possibilità di larghe intese ma che l’unica intesa su cui parte della maggioranza e l’opposizione sarebbero d’accordo è scortare il Cavaliere fuori da Palazzo Chigi.

D’altronde, il segratario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha riassunto bene al Capo dello Stato il clima che si respira in Parlamento: ‹‹Caro presidente, finché Berlusconi resta al suo posto ogni misura sarà inutile››.

Governi – Ora, questa dichiarazione merita attenzione perché, forse, è soprattutto sulla base dell’idea ossessiva più ripetuta della storia della Repubblica che Napolitano, da vero statista, deve aver escluso l’eventualità un Esecutivo tecnico.

Dire che Berlusconi è causa di tutti i mali attuali dell’economia nostrana e che senza di lui i mercati si placherebbero e ritroverebbero fiducia è una prospettiva molto demagogica e ben poco realistica per una serie di ragioni.

Uno – La crisi non è italiana ma europea e globale. Se c’è un Paese al quale si deve addebitare una responsabilità non è l’Italia, la cui economia è ancora robusta, ma la Grecia finita in default per aver presentato bilanci di Stato fasulli in sede Ue.

Dice il neogovernatore di Bankitalia, Ignazio Visco, riportando l’ultimo dato sullo “Stress test” di via Nazionale, divulgato 2 giorni fa: se – per ipotesi – nel gennaio 2012 le 5 principali banche italiane fossero sottoposte ad un incremento degli interessi sul debito per i Btp decennali fino all’8% (cioè 2,5% in più rispetto al quadro di base di 5,5%), l’Italia potrebbe navigare ancora 2 anni in autonomia prima di essere costretta a chiedere un salvagente finanziario alla Ue. Non è poco considerando che alcuni giorni fa i tassi erano al 6,3% con le Borse mondiali in picchiata. Il partner greco è dovuto ricorrere all’aiuto dei Membri e del Fmi a quota 7%.

Due –  Visti i dati, le paure del mercato causa delle corse folli al rialzo dello spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi, sono senza dubbio immotivate. Tanto più quando si scopre – ribadisce Bankitalia – che la politica economica del Governo ha risanato una parte del vuoto di cassa con 60 miliardi derivanti dalle aste delle linee telefoniche e la lotta all’evasione.

Perciò, se la sfiducia impera nelle Borse il motivo non può essere in un Governo che lavora (male, e sia) ma qualcosa combina, come non la si può attribuire ad un Capo del Consiglio che tale Esecutivo manovra (con sempre maggiore difficoltà, e sia) ma almeno lo regge.

La questione è più generale e riguarda il complesso quadro del panorama politico italiano, perché se da una parte la figura di Berlusconi è poco credibile, ancora meno lo è un Pd che mette in programma riforme quali “liberalizzazioni efficaci per i servizi bancari, assicurativi e professionali, l’energia, la distribuzione di carburanti e dei farmaci” ma vota no al referendum sulla liberalizzazione della rete idrica. Ed è comunque meglio di un Antonio Di Pietro (IDV) che continua ad affermare l’indisponibilità ad appoggiare la “macelleria sociale” ispirata alla Bce o a un Nichi Vendola (Sel) che si anima di socialismo parlando di “pareggio

bankitalia

Bankitalia

di bilancio senza anima”.

I mercati credono alla credibilità dei Governi o degli aspiranti tali, sulla base dei loro progetti e dell’entusiasmo suscitato negli elettori da questi, non all’astio nei confronti di Silvio Berlusconi o della UE.

Tre – In simile clima, un Governo tecnico non otterrebbe la fiducia delle Borse. Tanto più perché, mancando del requisito minimo per potersi certificare come organismo politico – il suffragio elettorale –, non  convincerebbe la  Finanza a prenderlo sul serio. Forse un Esecutivo d’emergenza avrebbe solo l’effetto di calmierare i mercati per pochi giorni. Poi tutto tornerebbe così come è, con l’aggravante di aver determinato la fine del precedente Governo regolare. E tutto questo il presidente Napolitano – da vero pilastro istituzionale e fine statista – lo sa.

Chantal Cresta

Foto || ansa.it; economyonline.it

 

Share and Enjoy

  • Facebook
  • Twitter
  • Delicious
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Add to favorites
  • Email
  • RSS

Ti è piaciuto questo articolo? Fallo sapere ai tuoi amici

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

 
Per inserire codice HTML inserirlo tra i tags [code][/code] .

I coupon di Wakeupnews