
Giuseppina Ghersi, il dubbio e l’opportunità della memoria
A Savona la polemica sulla morte di Giuseppina Ghersi prosegue: è una questione di giustizia, ma ancor più di memoria, di politica e di valori civili
Savona. L’omicidio di Giuseppina Ghersi è una oscura e triste pagina della cronaca savonese del secondo dopoguerra che fa ancora discutere, agita gli animi e fomenta distorsioni e revisionismi; è la ricetta perfetta per una polemica nazionale sui valori della Resistenza, della Liberazione e del fascismo, perché ne sono protagonisti una ragazzina uccisa, fascisti e partigiani all’indomani del 25 aprile 1945 e politicanti odierni, che preferiscono la polemica rumorosa al rispettoso silenzio.
LA STORIA. La storia di Giuseppina Ghersi non è chiara: di lei si conosce l’anno della morte, un supposto anno di nascita – l’età effettiva è storicamente dibattuta – e le simpatie per il regime fascista. Non si sa chi l’abbia uccisa, nè con precisione il luogo e le modalità: la denuncia è tardiva (1949), ma la versione più accreditata perla di una vendetta antifascista, a opera di partigiani, ma è stata seguita anche la pista della ritorsione contro il padre. L’una non esclude l’altra: la situazione dell’immediato dopoguerra era così complicata, gli animi così esacerbati, le occasioni di vendetta sporca e impunita così palesi che non capitò di rado che i temi si intrecciassero in un unico movente. Di lei non poche fonti coeve parlano come di una collaborazionista e di una delatrice, anche per l’ambiente familiare, vicino al Regime. Circolano foto false di una sua umiliazione a opera dei partigiani e le circostanze del suo decesso mutano di volta in volta, in base a chi narra la vicenda. Sarebbe un’opportunità per gli storici locali: a occuparse, invece, sono dilettanti privi di metodo nella ricerca e nell’analisi delle fonti, dotati di passione e interessi politici nel far prevalere certi aspetti a discapito di altri. Così la verità storica rimane sepolta sotto un cumulo di letame e ai contendenti poco importa davvero della memoria della Ghersi. O della verità.
LA LAPIDE. Capita così che il sindaco di Noli accetti di intitolare una targa alla memoria di Giuseppina Ghersi. La polemica esplode. Forza Nuova annuncia la partecipazione, le forze della destra politica esultano per il gesto di riparazione, elementi della sinistra ne approfittano per screditare l’ingombrante antifascismo; l’Anpi locale è intervenuta duramente a condannare l’omicidio e la violenza, ricordando anche l’importanza dei valori dell’antifascismo – un carabiniere strupratore non rende inaffidabile l’Arma; un immigrato che ruba non rende odiosi tutti i rifugiati; un partigiano assassino non cancella i valori della Resistenza – e l’inopportunità di una tale intitolazione, una posizione rinsaldata dall’Anpi nazionale, in supporto dei colleghi al centro della bufera. Il nodo è tutto lì: condannare la violenza, ma non scendere a patti con il revisionismo fascista.

La foto che viene erroneamente utilizzata per l’omicidio di Giuseppina Ghersi: ritrare una giovane fascista milanese
LA VITTIMA. Giuseppina Ghersi è una vittima, una vittima del fascismo: qualunque cosa abbia fatto è stata all’interno di un sistema perverso che aboliva la libertà di pensiero e spingeva a un supporto incondizionato. Dirla vittima di questo non toglie la sua responsabilità per ciò che ha compiuto a favore del regime fascista: tredici anni durante la Resistenza non sono i tredici anni degli smartphone e dei social network, ma sono tredici anni cresciuti nella guerra. Quanti tredicenni collaboravano con i partigiani? Nessuno ha mai messo in dubbio la loro adesione e la loro determinazione, quindi non si può trattare diversamente Giuseppina Ghersi, rispettando le sue scelte pro-regime che ha compiuto e ricordando il profondo dissenso che separa la democrazia dal fascismo. Questo rispetto le viene negato nel momento in cui la si definisce “bambina”, a sminuire la sua capacità di scelta, un affronto più grave della morte stessa.
CONDANNA INDISCUTIBILE. Uccidere è sbagliato: manca in Italia la capacità di condannare la violenza a prescindere da chi la usa, ma anche l’onestà di spingersi alla comprensione di ciò che davvero è accaduto. Il tifo-da-stadio con cui si è dibattuto sui social network lo conferma. A parte la voce dall’Anpi, sono stati pochi gli interventi equi: serve dire con chiarezza che ucciderla è stato sbagliato, ma che sbagliato era anche uccidere i ragazzini che collaboravano con i partigiani o fornire alla cemicie nere informazioni sugli spostamenti dei combattenti della Resistenza; sicuramente non l’hanno detto i Ghersi-fan, impegnati a far passare l’idea che tutti, repubblichini e partigiani, fossero in fondo in fondo uguali. Invece la differenza è nella memoria.
IL VALORE DELLA MEMORIA. La memoria è una scelta complessa, soprattutto quando pubblica: è passato che si rende presente. Bisogna chiedersi quale sia l’intenzione nel commemorare Giuseppina Ghersi, quali gli scopi da raggiungersi; essendo un atto pubblico, questi scopi devono essere concordi con i valori della Repubblica. E la Repubblica, ricordiamocelo, si fonda sull’antifascismo. Vuol dire che uccidere un fascista è giusto? No: vuol dire che la memoria di Giuseppina Ghersi ha senso nell’ottica dell’antifascismo, della condanna di un regime che ha educato una giovane ragazza a collaborare con un regime assassino. E vuol anche dire che a lei deve andare tutto il rispetto personale come a qualunque defunto, ma che non può assurgere a vittima innocente e non può essere accumunata ai valori che ancora oggi muovono la società italiana. L’obiettivo di queste azioni è attaccare i valori della Repubblica, è un tentativo di riscrivere il codice genetico del paese. La preoccupazione delle forze democratiche – destra e sinistra – deve orientarsi a questo: difendere la conquista di una Costituzione sorta dalle ceneri del Ventennio, scritta sui monti con il sangue di chi, destra a sinistra, comunisti e cristiani, marxisti e liberali, ha combattuto per la democrazia.
Cioè, una bambina di 13 anni non è innocente a prescindere?