Giubileo e amnistia, l’occasione per riformare il carcere

Il carcere, il Papa e il Giubileo: non tanto un'amnistia, ma una vera riforma potrebbe cambiare per sempre la società italiana. In meglio

Francesco, dalla parte degli ultimi

Francesco, dalla parte degli ultimi, anche quando in carcere

Città del Vaticano – L’appello di Francesco per un’amnistia in occasione del Giubileo straordinario che comincerà tra poco più di tre mesi non ha valore legale/politico, non solo perlomeno, ma ha attirato commenti positivi e negativi. Nessuno, però, ha colto la possibilità di usare il Giubileo 2016 e la sua chiave di lettura, la Misericordia, come occasione per riformare il sistema carcerario italiano.

CARCERE DURO – Il carcere non funziona. Il sistema italiano sembra pensato più per “pareggiare i conti” infliggendo una sofferenza al colpevole, dimenticando del tutto lo scopo riabilitativo della pena, quell’aspetto – costituzionalmente primario – della detenzione che dovrebbe consentirle di restituire il reo alla società, consapevole dell’errore e intenzionato a non ripeterlo. La percentuale di recidiva per chi entra nel cercare italiano, invece, è altissima.

UNIVERSITÀ DEL CRIMINE – In carcere chi ha commesso un reato vive a contatto con altri condannati. In questo ambiente si innescano così dei meccanismi “virtuosi” di scambio di competenze e conoscenze: tu insegni a me come clonare una carta, io ti mostro come scassinare una porta blindata. Se va bene. Le reti di affari – a volte mafiosi – si intrecciano anche dentro i penitenziari, rinforzandosi per il giorno di libertà: chi esce da un carcere molto spesso non è riabilitato, bensì meglio formato a proseguire la sua carriera criminale.

DISUMANITÀ PREVENTIVA – Una percentuale spaventosamente alta di soggetti che entrano in carcere – nel 2001 sfiorò il 90% – sono persone in attesa del processo, rinchiuse per prevenire le reiterazione del reato, la fuga o l’inquinamento delle prove. Di fatto puniamo con intollerabili restrizioni personali tanto chi è indagato quanto chi è dichiarato definitivamente colpevole, senza alcuna differenza. Un primo, importante, passo avanti sarebbe garantire strutture e strumenti di prevenzione (di fuga, reiterazione o insabbiamento) che siano ben diversi dal carcere e che ricordino sempre che si è innocenti fino a prova contraria. La prova contraria la stabilisce un processo, non le forze dell’ordine.

rsi.ch

Francesco, un pontificato di umiltà

UNA RIFORMA – L’Anno santo giubilare, allora, dovrebbe essere non l’occasione per un’amnistia incondizionata e finalizzata solo a svuotare le carceri – cosa che comunque aiuterebbe – ma per un ripensamento complessivo del sistema. Qualche esempio ce l’abbiamo: il modello svedese in questo campo è tanto avveniristico quanto efficace. Non solo detiene in condizioni umane i prigionieri condannati, ma riesce anche a riabilitarli e reintrodurli nella società come soggetti portatori di positività e nuove energie.

PERDONO – La parola chiave di questa riforma deve essere perdono. Dobbiamo certo slegarla dalla concezione religiosa – non tutti sono cristiani e non tutti i cristiani riescono con facilità a porgere l’altra guancia – ma è proprio nel perdonare, nel non portare rancore, che la società può costruire il futuro: questo significa anche pensare un carcere che sia fatto per costruire una nuova opportunità di vita per chi vi è rinchiuso e non una gabbia dove trattenerlo per un po’, punendolo per quello che ha fatto. In nessun caso questa punizione ripristinerà il danno che altri hanno subito – e questo è tanto più vero quanto più grave è la colpa – mentre una completa riabilitazione donerà alla società benefici tangibili e un reale senso di pentimento autocosciente in chi si è macchiato di un crimine, ora consapevole di aver leso un altro e la collettività intera.

Andrea Bosio
@AndreaNickBosio

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